Inps: Congedo straordinario D.Lgs. 151/01 e permessi L. 104/92 per più richiedenti verso lo stesso soggetto

Il Messaggio Inps 4143/2023 fornisce indicazioni sulla gestione del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e dei permessi di cui all’articolo 33 della legge n. 104/1992, in favore di più richiedenti per assistere – nello stesso periodo – il medesimo soggetto con disabilità in situazione di gravità.

Partendo dai seguenti presupposti:

  • Il decreto legislativo n. 105/2022 non ha modificato la norma in base alla quale – a eccezione dei genitori – il congedo straordinario di cui al comma 5 e i permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992, non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave;
  • La disposizione va letta congiuntamente alla modifica apportata dal decreto legislativo n. 105/2022 all’articolo 33, comma 3, della legge n. 104/1992, che, per i relativi permessi, ha eliminato il principio del “referente unico dell’assistenza”;
  • Fermo restando che il congedo straordinario non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave, è – invece – possibile autorizzare sia la fruizione del predetto congedo che la fruizione dei permessi di cui all’articolo 33 della legge n. 104/1992 a più lavoratori per l’assistenza allo stesso soggetto con disabilità grave, alternativamente e purché non negli stessi giorni.

Ne consegue che può essere accolta una domanda di congedo straordinario relativa a periodi per i quali risultino già rilasciate autorizzazioni per la fruizione di tre giorni di permesso mensili, o del prolungamento del congedo parentale, o delle ore di permesso alternative al prolungamento per assistere la stessa persona disabile in situazione di gravità.

Parimenti, per i mesi in cui risultino già autorizzati periodi di congedo straordinario, potranno essere autorizzate domande per fruire di tre giorni di permesso mensile/prolungamento del congedo parentale oppure di ore di permesso alternative al prolungamento del congedo parentale presentate da altri referenti, per assistere la stessa persona disabile in situazione di gravità.

Il documento ricorda che i suddetti benefici non posso essere fruiti nelle medesime giornate, trattandosi di istituti rispondenti alle medesime finalità di assistenza al disabile in situazione di gravità, e devono – quindi – intendersi alternativi.

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Accesso ai dati personali: quando il datore di lavoro può negare l’accesso

L’accesso ai dati personali può essere impedito in alcuni casi tassativamente previsti dalla normativa, sempreché determini un pregiudizio effettivo e concreto all’interesse tutelato come ad esempio lo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria.

In due recenti ordinanze, il Garante della Privacy ha ritenuto che il diritto di accesso ai dati personali del lavoratore fosse stato violato, alla luce della normativa vigente.

Nel primo caso, si tratta di una richiesta di accesso ai dati trattati in una relazione investigativa, cui fanno seguito una contestazione disciplinare e il successivo licenziamento di un lavoratore.

Secondo il Garante, il diritto di accesso è stato violato perché la società avrebbe dovuto fornire al dipendente tutti i dati raccolti (fotografie, immagini, rilevazioni Gps e così via), per consentirgli l’esercizio del diritto di difesa.

Nel secondo caso, il datore di lavoro aveva negato l’istanza di accesso in modo generico; pertanto, il Garante ha ritenuto che la società avesse violato la normativa sull’accesso.

L’articolo 15 del Gdpr sancisce il diritto dell’interessato di ottenere dal titolare dei dati conferma che sia o meno in corso un trattamento e, in tal caso, ottenerne l’accesso.

In capo al titolare (che è tenuto a fornire una copia dei dati oggetto del trattamento, anche con modalità elettronica) grava anche l’obbligo di adottare misure appropriate per fornire all’interessato sia le informazioni previste dagli articoli 13 e 14, sia le comunicazioni relative all’esercizio del diritto di accesso, in maniera concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, utilizzando un linguaggio semplice e chiaro.

L’informativa deve essere comunicata senza giustificato ritardo e, al più tardi, entro un mese dalla richiesta.

Questo termine può essere prorogato fino a due mesi, solo in caso di concreata complessità e previa comunicazione della proroga all’interessato.

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Inps: precisazioni sulla riconoscibilità degli esoneri per l’occupazione giovanile a seguito di riqualificazione di un precedente rapporto di lavoro

L’esonero contributivo introdotto dalla Legge di Bilancio 2018 ha lo scopo di promuovere forme di occupazione giovanile stabile. Tale esonero spetta per le assunzioni e le trasformazioni di contratti da tempo determinato a tempo indeterminato di soggetti che, alla data della prima assunzione incentivata, “non abbiano compiuto il trentesimo anno di età e non siano stati occupati a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro”.

Il requisito legittimante per la fruizione dell’agevolazione risiede nell’assenza di precedenti rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel corso dell’intera vita lavorativa.

Già dalla Circolare Inps n. 40 del 2 marzo 2018, l’Istituto ha precisato che l’esonero triennale non può essere riconosciuto nell’ipotesi in cui, a seguito di accertamento ispettivo, il rapporto di lavoro autonomo, con o senza partita IVA, nonché quello parasubordinato vengano riqualificati come rapporti di lavoro subordinati a tempo indeterminato.

Il concetto è stato poi ribadito nelle Circolari n. 56 del 12 aprile 2021 e n. 57 del 22 giugno 2023, tenuto conto che dette agevolazioni mutuano la propria disciplina – ove non diversamente stabilito – da quella prevista per l’esonero strutturale per l’occupazione giovanile di cui alla legge di Bilancio 2018.

Già sulla base dell’interpello del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali n. 2/2016, non è possibile fruire dello sgravio di cui all’articolo 1, comma 118, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (cui l’interpello si riferisce), “laddove il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato non sia stato instaurato per libera scelta del datore di lavoro ma in conseguenza di un accertamento ispettivo”.

Tali interpretazioni poggiano le loro basi sull’intento del legislatore che, evidentemente, è volto a sollecitare l’assunzione «spontanea» di personale, anche precedentemente impiegato con contratti di natura autonoma, il che certamente non avviene nel caso di riqualificazione a seguito di accesso ispettivo. Se così fosse, la concessione dell’esonero assumerebbe una natura premiale nei confronti di chi nulla ha fatto per contribuire ad una maggiore e stabile occupazione ma, viceversa, ha violato diverse diposizioni di legge.

La suddetta preclusione, pertanto, opera solo nel caso in cui il datore di lavoro che intenda fruire dell’incentivo sia il medesimo datore titolare del rapporto di lavoro riqualificato a seguito di accertamento ispettivo.

Pertanto, laddove il datore di lavoro che abbia fruito dei menzionati incentivi all’assunzione di giovani sia un soggetto diverso dal datore di lavoro titolare del rapporto riqualificato, lo stesso può godere legittimamente del beneficio, in quanto, alla data di assunzione incentivata, riteneva in buona fede che il lavoratore fosse legittimo destinatario dell’agevolazione.

Ne consegue che, nel caso in cui un rapporto venga riqualificato ab origine come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, comportando quindi il venire meno di uno dei requisiti legittimanti la spettanza degli esoneri indicati in oggetto, tale circostanza, in quanto non conosciuta né conoscibile alla data di assunzione per il quale si intende fruire degli esoneri contributivi in trattazione, non può riverberarsi negativamente sul diverso datore di lavoro che, in buona fede, ha assunto il lavoratore titolare del rapporto riqualificato.

Nell’ipotesi sopra descritta, quindi, il datore di lavoro che ha assunto in buona fede può legittimamente fruire degli esoneri contributivi in oggetto e non è tenuto, per il successivo accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro riqualificato presso diverso datore di lavoro, alla restituzione dell’agevolazione né al pagamento delle eventuali sanzioni previste per la pregressa fruizione della misura agevolativa.

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Ministero del Lavoro: settori e professioni caratterizzati da tasso di disparità uomo-donna per l’anno 2024

Il Decreto interministeriale n. 365 del 20 novembre 2023 emanato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze,  individua – per l’anno 2024 – i settori e le professioni caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% il valore medio annuo, per l’applicazione degli incentivi all’assunzione previsti dall’articolo 4, commi 8-11, della Legge 92/2012.

Il tasso totale di disparità di genere, per gli occupati dipendenti, è aumentato  nel 2022 dal 9,5% al 9,8%.

Leggi il decreto Interministeriale 365/2023

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Cassazione: sede di lavoro in caso di assistenza a disabile

La Sentenza 26343/2023 della Cassazione Civile Sezione Lavoro, ha stabilito che il diritto del lavoratore che assiste un disabile in situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio deve essere interpretato nel senso che tale diritto può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro.

Tale interpretazione è desumibile sia dal tenore letterale della norma che dalla funzione solidaristica della disciplina posta a tutela e a garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap.

Nello specifico, il diritto non si configura come assoluto e illimitato, in quanto l’inciso “ove possibile” (contenuto nell’articolo 33, comma 5, della Legge n. 104/1992) prevede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto.

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Whistleblowing: al via anche le aziende con 50 dipendenti

Le aziende che hanno impiegato nell’ultimo anno una media di lavoratori subordinati tra i 50 e i 249, devono conformarsi, entro il 17 dicembre, agli obblighi in materia di whistleblowing. La normativa in materia è già operativa dallo scorso 15 luglio per le aziende che superano il limite sopra menzionato.

Ricordiamo che L’istituto del whistleblowing è uno strumento giuridico finalizzato alla tutela dei lavoratori che segnalano illeciti o attività fraudolente svolte all’interno della struttura di appartenenza ai soggetti incaricati (es. ANAC o Autorità giudiziarie) e il D.Lgs. n. 24/2023 rafforza le regole esistenti, ampliandone la portata.

Il datore di lavoro, sentite le rappresentanze sindacali, attiva propri canali di segnalazione, che garantiscono, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione. Per garantire la riservatezza dell’identità del segnalante, occorre attivare canali di segnalazione gestiti da personale dedicato e appositamente formato, eventualmente anche a soggetto esterno autonomo. Il trattamento dei dati personali e la documentazione relativa alle segnalazioni dovranno essere gestiti rispettando le regole e i principi contenuti nel GDPR.

Per approfondire il tema, riandiamo ai precedenti articoli pubblicati:

Whistleblowing: aziende ai blocchi di partenza

Segnalazioni whistleblowing: attiva la nuova piattaforma

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Costo medio settore metalmeccanica industria: le nuove tabelle ministeriali

Il decreto direttoriale n. 60 del 2023 del Ministero del lavoro, definisce il valore aggiornato del costo medio orario del lavoro per il personale dipendente da imprese dell’industria metalmeccanica e della installazione di impianti, con decorrenza dal mese di ottobre 2023.

Il costo medio orario del lavoro – determinato annualmente – è indicato nelle tabelle allegate al decreto, distintamente per gli operai e per gli impiegati, in base ai livelli di appartenenza ed è suscettibile di oscillazioni in relazione a:
a) benefici (contributivi, fiscali o di altra natura) previsti da norme di legge di cui il datore di lavoro usufruisce;
b) specifici benefici e/o minori oneri derivanti dall’applicazione della contrattazione collettiva;
c) oneri derivanti da interventi relativi a infrastrutture, attrezzature, macchinari, e altre misure connesse
d) oneri derivanti dalla contrattazione aziendale;
e) oneri derivanti da documentata incidenza del superminimo individuale;
f) oneri collegati all’utilizzazione delle norme contrattuali sulla reperibilità;
g) oneri derivanti dall’effettuazione di lavori fuori sede od officina.
Le imprese di riferimento sono quelle rientranti nel campo di applicazione dell’accordo del 5 febbraio 2021 per il rinnovo del CCNL per l’industria metalmeccanica e della installazione di impianti stipulato tra Federmeccanica, Assistal, FIM-CISL, FIOM CGIL e UILM-UIL, con decorrenza dal 5 febbraio 2021 e in vigore fino al 30 giugno 2024.
Le tabelle:
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Tribunale di Forlì: la mancata presa in servizio non è paragonabile alle dimissioni in prova

La sentenza del 31 marzo 2023 emessa dal Tribunale di Forlì tratta il caso della mancata presa di servizio (nei tempi concordati) da parte di un dirigente il quale – pur se l’assunzione era condizionata al positivo superamento di un periodo di prova – aveva anche firmato una clausola penale.

Poiché l’accordo sottoscritto tra le parti non era stato rispettato, la società ha ottenuto un decreto ingiuntivo da parte del Tribunale di Forlì, nel quale veniva intimato il pagamento di un importo (più spese e interessi) a titolo di indennità sostituiva del preavviso.

Il lavoratore si è opposto al provvedimento, sostenendo che il patto di prova – inteso come periodo durante il quale entrambe le parti possono recedere liberamente, senza nessun indennizzo di sorta – renderebbe insussistente la pretesa della penale. In aggiunta, sostiene di aver agito secondo buona fede, avendo comunicato la decisione con congruo preavviso, senza sfruttare la previsione del patto di prova e senza, quindi, creare alcun danno.

La decisione dei Giudici si fonda sulla considerazione che la lettera di impegno a prendere servizio ha natura contrattuale, con differimento del termine, con conseguente validità dell’impegno assunto dal lavoratore.

Nello specifico, tale clausola – stabilendo il pagamento di una penale qualora l’obbligato non prenda servizio alla data stabilita – è chiara espressione della libera autonomia contrattuale. Pertanto, l’eccezione di incompatibilità con il patto di prova è da considerarsi infondata.

Le due previsioni, infatti, hanno oggetto e finalità differenti e tutelano due diversi momenti del rapporto:

La previsione dell’applicazione della penale riguarda un momento precedente l’effettiva presa di servizio e tutela l’interesse della società all’assunzione del ricorrente e al risarcimento forfetario del danno per l’eventuale inadempimento.

Mentre per poter usufruire della libera recedibilità prevista per il periodo di prova, è necessario che il rapporto si sia costituito e che le parti abbiano consentito e svolto l’esperimento che forma oggetto della prova; fatto che non si è mai concretizzato.

Ne consegue che la penale, contrattualmente stabilita, è dovuta dal ricorrente. La sua tempestiva comunicazione del ripensamento, essendo egli parte inadempiente, è irrilevante e pertanto, il credito certo, liquido ed esigibile, non suscettibile di riduzione.

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Licenziamento per inidoneità fisica del lavoratore: l’onere della prova può essere assolto anche attraverso la deduzione dei comportamenti attivati al datore di lavoro

In caso di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, qualora ricorrano i presupposti di applicabilità del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3, comma 3-bis (parità di trattamento delle persone con disabilità), è posto a circo del datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso.

Questo il contenuto del dispositivo della sentenza della Cassazione Civile Sezione Lavoro n. 15002/2023.

Nello specifico, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare, non solo il sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore e l’impossibilità di adibirlo a mansioni (eventualmente anche inferiori) compatibili con il suo stato di salute, ma anche l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli. Questo ultimo onere può essere assolto attraverso la dimostrazione di aver compiuto  atti o operazioni strumentali utili al c.d. “accomodamento ragionevole”; tali dimostrazioni – assumendo il rango di fatti secondari presuntivi – risulterebbero idonei a indurre nel giudice il convincimento che il datore di lavoro abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata in grado di scongiurare il licenziamento, avuto riguardo ad ogni circostanza rilevante nel caso concreto.

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Naspi anche in caso di dimissioni a seguito di trasferimento lontano dalla residenza

Le dimissioni rassegnate dal lavoratore a seguito del trasferimento in una sede di lavoro distante oltre 50 chilometri dalla propria residenza, o per il cui raggiungimento occorrano almeno 80 minuti con i mezzi pubblici, integrano le ipotesi di perdita involontaria dell’occupazione, cui consegue l’accesso alla Naspi.

In questo caso, per poter accedere alla Naspi non è necessario impugnare il trasferimento, né il riconoscimento in sede giudiziale dell’illegittimità dell’atto datoriale, poiché l’Inps non ha alcun titolo per subordinare il riconoscimento della prestazione all’accertamento della illegittimità del trasferimento in sede giudiziale, e neppure può essere ritenuto necessario che il lavoratore, unitamente alla domanda di accesso alla Naspi, produca un documento da cui si evince l’impugnazione del trasferimento medesimo.

Questo è quanto disposto dalla Sentenza n. 258/2023 della Corte d’Appello di Firenze, la quale ribadisce che il solo fatto dirimente per l’accesso alla Naspi è la perdita involontaria dell’occupazione.

Nello specifico, la fattispecie si verifica quando il lavoratore si trova a rassegnare le proprie dimissioni perché la distanza della nuova sede di lavoro rende «materialmente impossibile» o «estremamente disagevole» la prosecuzione del rapporto a causa dei costi economici e dei tempi di percorrenza associati agli spostamenti casa/lavoro. La perdita involontaria dell’occupazione non risulta necessariamente subordinata a un atto illegittimo del datore di lavoro, ma si determina anche in presenza di un evento in sé perfettamente valido, il quale tuttavia produca per il dipendente una condizione di sostanziale improseguibilità del rapporto.

I Giudici evidenziano che il trattamento Naspi viene garantito ai lavoratori in caso di licenziamento, a prescindere dalla circostanza che il recesso datoriale sia, o meno, un atto giuridicamente legittimo.

Anche nel caso in esame non si ravvisano motivi ragioni che possano imporre di subordinare il riconoscimento della Naspi alla illegittimità di un atto di trasferimento che, alla luce della distanza (50 Km) e dei tempi di viaggio (almeno 80 minuti), impedisce al lavoratore di proseguire il rapporto.

In questo caso la disoccupazione diventa una condizione involontaria e il disconoscimento della Naspi si pone in antitesi con la prassi dell’Istituto, che prevede il riconoscimento della prestazione in caso di rifiuto del trasferimento con risoluzione consensuale del rapporto.

La Corte osserva che le due fattispecie risultano identiche: tanto nel caso della risoluzione consensuale, quanto in quello delle dimissioni, il recesso discende dal medesimo atto datoriale di trasferimento.

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