Fringe benefit fino a 3.000 per i lavoratori con figli a carico: i primi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Il decreto-legge 48/2023 ha previsto, solo per quest’anno ed esclusivamente a favore dei lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico, un innalzamento a 3.000 euro del limite di esenzione dei fringe benefit. In aggiunta, solo per questi soggetti, tra i benefit da includere nella soglia di esenzione, rientrano anche le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

Ai lavoratori senza figli a carico continuerà, invece, ad applicarsi la soglia di esenzione di 258,23 euro.

L’Agenzia delle Entrate pubblica la Circolare 23/E con la quale fornisce indicazioni sul benefit fino a 3.000 euro per i lavoratori con figli a carico nella quale specifica che il limite di esenzione dei benefit a 3.000 euro riguarda anche chi ha un solo figlio a carico e i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Riassumiamo le ulteriori indicazioni fornite dall’AdE in materia:

  • Il limite di 3.000 euro non viene ridotto se il figlio è a carico al 50%: entrambi i genitori lavoratori potranno usufruire di un limite complessivo di 6.000 euro. Il beneficio è applicabile a imposte e contributi.
  • Il limite di 3.000 euro è valido anche per i benefit che, per scelta del lavoratore, sono stati (in tutto o in parte) concessi in luogo dei premi di risultato detassabili. Il superamento della soglia comporta il pagamento di tasse e contributi sull’intero ammontare e non soltanto sulla quota parte eccedente. L’agevolazione è cumulabile con l’esenzione di 200 euro prevista per i buoni benzina.
  • L’agevolazione viene riconosciuta in misura intera per ciascun genitore, anche in presenza di un unico figlio, purché lo stesso sia fiscalmente a carico di entrambi, e spetta altresì nel caso in cui il lavoratore non possa beneficiare della detrazione poiché per i figli percepisce l’assegno unico e universale. Qualora i genitori si accordino per attribuire l’intera detrazione del figlio a quello dei due che possiede il reddito complessivo di ammontare più elevato, il limite di 3.000 euro è applicabile a entrambi, in quanto il figlio resta a carico sia dell’uno sia dell’altro genitore.
  • Il limite di 3.000 euro si applica previa dichiarazione da parte del lavoratore al datore di lavoro di avervi diritto, indicando il codice fiscale dei figli a carico. Senza dichiarazione il beneficio non è fruibile. Non è prevista una forma specifica: la dichiarazione potrà essere sottoscritta anche digitalmente e fornita secondo le modalità indicate dal datore di lavoro. Ad ogni modo è opportuno che quest’ultimo conservi la dichiarazione ai fini probatori.
  • La condizione di figlio a carico deve essere verificata al 31 dicembre: pertanto, qualora dovesse venire meno tale presupposto (ad esempio per superamento della soglia reddituale), il lavoratore sarà tenuto a comunicarlo prontamente al datore.

Da ultimo, si ricorda che, nelle aziende in cui sono presenti le rappresentanze sindacali unitarie, è possibile applicare la nuova soglia di 3.000 euro previa informativa alle rappresentanze stesse. La Circolare evidenzia che l’agevolazione potrà essere riconosciuta anche prima che si provveda all’informativa, a condizione che la stessa sia fornita entro l’anno.

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Dal Ministero della Salute aggiornamento sulle modalità di gestione dei casi covid-19

La Circolare n. 0025613 dell’11 agosto 2023 del Ministero della Salute contiene l’aggiornamento delle modalità di gestione dei casi e dei contatti stretti di caso COVID-19; la sua pubblicazione si è resa necessaria viste le nuove disposizione del Decreto Legge n. 105/2023, il quale –  all’articolo 9 – stabilisce l’abolizione degli obblighi in materia di isolamento e auto-sorveglianza e modifica della disciplina del monitoraggio della situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del virus SARS-CoV-2.

In maniera specifica, le persone che dovessero risultare positive a un test diagnostico molecolare o antigenico per SARS-CoV-2 non sono più sottoposte alla misura dell’isolamento.

Le raccomandazioni impartite dal Ministero prevedono – prudenzialmente – di osservare le medesime precauzioni valide al fine di prevenire la trasmissione della gran parte delle infezioni respiratorie.

In particolare è consigliato:

  • Indossare un dispositivo di protezione delle vie respiratorie (mascherina chirurgica o FFP2), se si entra in contatto con altre persone;
  • Se si è sintomatici, rimanere a casa fino al termine dei sintomi;
  • Applicare una corretta igiene delle mani;
  • Evitare ambienti affollati;
  • Evitare il contatto con persone fragili, immunodepresse, donne in gravidanza, ed evitare di frequentare ospedali o RSA. Questa raccomandazione assume particolare rilievo per tutti gli operatori addetti all’assistenza sanitaria e socio-sanitaria, che devono quindi evitare il contatto con pazienti a rischio;
  • Informare le persone con cui si è stati in contatto nei giorni immediatamente precedenti alla diagnosi, se anziane, fragili o immunodepresse;
  • Contattare il proprio medico curante se si è persona fragile o immunodepressa, se i sintomi non si risolvono dopo 3 giorni o se le condizioni cliniche peggiorano.

Anche alle persone venute a contatto con casi di COVID-19, non si applica nessuna misura restrittiva. In ogni caso, è consigliabile che le stesse pongano attenzione all’eventuale comparsa di sintomi suggestivi di Covid-19 (febbre, tosse, mal di gola, stanchezza) nei giorni immediatamente successivi al contatto.

Leggi la Circolare 25613 dell’11/08/2023 dal Ministero della Salute

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Garante privacy: trattamento dati e controlli illeciti

Il trattamento dei dati raccolti in violazione delle norme sullo statuto dei lavoratori è illecito e come tale sanzionabile; è il contenuto del provvedimento del Garante Privacy, pubblicato sulla newsletter del 1° luglio scorso.

Nel caso oggetto di un accertamento diretto del Garante tramite il Nucleo della guardia di finanza appositamente costituito, l’impresa  aveva sostituito il precedente sistema di allarme con un altro la cui attivazione e disattivazione si basava sull’uso delle impronte digitali; inoltre, aveva installato un impianto di videosorveglianza e un applicativo per la geolocalizzazione di alcuni lavoratori.

Durante l’accesso, sono emersi diversi profili di illegittimità per ciascuno dei tre sistemi tali da portare il Garante a sanzionare l’impresa:

  • La disattivazione dell’impianto di allarme tramite le impronte digitali di alcuni dipendenti si basava su un meccanismo di rilevazione di dati biometrici privo di una base giuridica ai sensi del regolamento europeo, trattandosi un trattamento di dati particolari che presuppone la necessità, nello specifico inesistente, di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro.
  • Il sistema di videosorveglianza, oltre a riprendere immagini in diretta, era in grado di captare anche i suoni ed effettuare registrazioni. L’accesso al sistema era effettuato dal legale rappresentante della società e dalla sua famiglia. In aggiunta, l’applicativo permetteva all’utente di ammonire verbalmente gli interessati, attraverso le casse dell’impianto.
  • Infine, è stato accertato che l’azienda utilizzava un applicativo che, quand’era in uso, tracciava, tramite GPS, in modo continuativo, la posizione del dipendente nel corso della propria attività, nonché data e ora del rilevamento, determinando – così – un controllo a distanza non consentito del lavoratore.

Il sistema di videosorveglianza e quello di geolocalizzazione erano in uso senza alcun preventivo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, pur trattandosi di controlli a distanza dei lavoratori dipendenti.

Sulla base delle verifiche fatte, per il Garante privacy, il trattamento dei dati personali effettuato dalla Società risulta illecito per i dati relativi ai dati biometrici, alla posizione geografica e ai dati dei dipendenti attraverso il sistema di videosorveglianza.

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L’incentivo per le assunzioni di “neet”

Il D.L. 48/2023 (c.d. Decreto Lavoro) ha introdotto un incentivo di tipo economico per i datori di lavoro privati che assumano a tempo indeterminato soggetti “NEET”, a sostegno dell’occupazione giovanile.

In particolare, è riconosciuto – a seguito di specifica domanda – un incentivo, per un periodo di 12 mesi, nella misura del 60% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per le nuove assunzioni, effettuate a decorrere dal 1° giugno e fino al 31 dicembre 2023, di giovani con contratto a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione e con contratto di apprendistato professionalizzante. L‘agevolazione spetta per le assunzioni effettuate nell’intero territorio nazionale, nei limiti delle risorse finanziarie specificatamente stanziate e ripartite a livello regionale, che costituiscono limite di spesa.

L’incentivo è cumulabile con l’esonero per l’occupazione giovanile di cui all’articolo 1, comma 297, della legge di Bilancio 2023, nonché con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, limitatamente al periodo di applicazione degli stessi, e comunque nel rispetto dei limiti massimi previsti dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato. In caso di cumulo con altra misura, l’incentivo è riconosciuto nella misura del 20% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per ogni lavoratore “NEET” assunto.

Il modulo di istanza on-line “NEET23”, mediante il quale sarà possibile prenotare le risorse destinate a finanziare l’incentivo in trattazione sarà reso disponibile sul portale istituzionale www.inps.it a partire dal 31 luglio 2023.

Profili soggettivi

L’incentivo è riconosciuto in favore di tutti i datori di lavoro privati, anche non imprenditori, ivi compresi quelli del settore agricolo.
L’incentivo spetta per le assunzioni di giovani che:

  • non abbiano compiuto 30 anni di età;
  • risultino aderenti al Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani (Garanzia Giovani), cui possono registrarsi i soggetti di età compresa tra i 16 e i 29 anni cosiddetti “NEET”, cioè non inseriti in un percorso di studi o formazione.

Pertanto, i lavoratori alla data dell’assunzione:

  • non devono aver compiuto il 30° anno di età (età inferiore o uguale a 29 anni e 364 giorni);
  • non devono lavorare al momento dell’assunzione e non devono essere inseriti in corsi di studi o di formazione;
  • devono essere registrati al Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani (la registrazione deve avvenire tramite il portale “MyANPAL”, oppure, tramite i portali regionali “Garanzia Giovani”) oppure devono aver già sottoscritto un Patto di servizio nell’ambito del Programma “Garanzia di occupabilità dei Lavoratori” (GOL) al momento della presentazione da parte dei datori di lavoro dell’istanza preliminare di ammissione all’incentivo (tale Patto di servizio GOL vale come registrazione al Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani).

Inoltre, per i giovani di età compresa tra i 25 e i 29 anni, l’incentivo può essere fruito solo quando, in aggiunta ai requisiti sopra riportati, venga rispettato, in via alternativa, uno dei seguenti elementi:

  • il giovane sia privo di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi;
  • il giovane non sia in possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado o di una qualifica o diploma di istruzione e formazione professionale;
  • il giovane abbia completato la formazione a tempo pieno da non più di 2 anni e non abbia ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito;
  • il giovane sia assunto in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato o sia assunto in settori economici in cui sia riscontrato il richiamato differenziale nella misura di almeno il 25%, se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato.

Rapporti di lavoro incentivati

L’incentivo in esame spetta per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che parziale, effettuate dal 1° giugno 2023 al 31 dicembre 2023 con contratto a tempo indeterminato, anche a scopo di somministrazione (sia per la somministrazione a tempo indeterminato che per la somministrazione a tempo determinato, compresi gli eventuali periodi in cui il lavoratore non viene inviato in missione) e con contratto di apprendistato professionalizzante.

L’incentivo, invece, non si applica:

  • ai rapporti di lavoro domestico;
  • nelle ipotesi di assunzione con contratto di lavoro intermittente;
  • nelle ipotesi di prestazioni di lavoro occasionale;
  • ai contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, nonché ai contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca;
  • nelle ipotesi di trasformazione a tempo indeterminato di rapporti a termine.

Assetto e misura dell’incentivo

L’incentivo è pari al 60% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali e spetta per massimo 12 mesi, anche nelle ipotesi di assunzione in apprendistato professionalizzante. In caso di cumulo con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento, limitatamente al periodo di applicazione degli stessi, l’incentivo si riduce al 20% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali.

L’incentivo deve essere considerato di tipo economico, ossia da parametrare alla retribuzione erogata ai nuovi assunti e non alla contribuzione datoriale dovuta, perciò, qualora dall’utilizzo della misura scaturisca un credito per il datore di lavoro rispetto ai contributi dovuti per il rapporto incentivato, tale credito può essere utilizzato a conguaglio sull’intera posizione debitoria del datore di lavoro.

L’incentivo deve essere fruito, ordinariamente, per ciascuna mensilità, entro il mese successivo a quello di svolgimento della prestazione lavorativa e il periodo di fruizione dell’incentivo può essere sospeso esclusivamente nei casi di assenza obbligatoria dal lavoro per maternità, consentendo, in tale ipotesi, il differimento temporale del periodo di godimento del beneficio, ma entro il termine perentorio del 28 febbraio 2025: non sarà possibile recuperare quote di incentivo in periodi successivi rispetto al termine previsto e l’ultimo mese in cui si potranno operare regolarizzazioni e recuperi di quote dell’incentivo è quello di competenza del mese di gennaio 2025.

Condizioni di spettanza

L’agevolazione si configura quale incentivo all’assunzione ed è, pertanto, subordinata:

  • al rispetto dei principi generali in materia di incentivi all’occupazione (art. 31, D.Lgs. 150/2015);
  • al rispetto delle norme poste a tutela delle condizioni di lavoro e dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori (Durc; assenza di violazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro e rispetto degli altri obblighi di legge; rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale);
  • alla realizzazione dell’incremento netto dell’occupazione, cioè l’assunzione deve determinare un incremento occupazionale netto rispetto alla media dei lavoratori occupati nei 12 mesi precedenti calcolato in U.L.A..
  • al rispetto delle condizioni generali di compatibilità con il mercato interno, previste dall’articolo 32 e dal Capo I del Regolamento (UE) n. 651/2014, quindi il datore di lavoro non deve rientrare tra coloro che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in conto bloccato, gli aiuti individuali definiti come illegali o incompatibili della Commissione europea e non deve essere un’impresa in difficoltà (art. 2, par. 18, del Regolamento (UE) n. 651/2014).

L’inoltro tardivo delle comunicazioni telematiche obbligatorie, inerenti all’instaurazione e alla modifica di un rapporto di lavoro o di somministrazione, produce la perdita di quella parte dell’incentivo relativa al periodo compreso tra la data di decorrenza del rapporto agevolato e la data della tardiva comunicazione.

In riferimento all’incremento netto dell’occupazione, l’impresa deve verificare l’effettiva forza lavoro presente nei 12 mesi successivi all’assunzione agevolata e non una occupazione “stimata”. Pertanto, l’incremento occupazionale va verificato tenendo in considerazione l’effettiva forza occupazionale media al termine del periodo dei 12 mesi e non quella “stimata” al momento dell’assunzione. Per tale motivo, qualora al termine dell’anno successivo all’assunzione si riscontri un incremento occupazionale netto in termini di U.L.A., le quote mensili di incentivo eventualmente già godute si “consolidano”; in caso contrario, l’incentivo non può essere legittimamente riconosciuto e il datore di lavoro è tenuto alla restituzione delle singole quote di incentivo eventualmente già godute in mancanza del rispetto del requisito richiesto mediante le procedure di regolarizzazione.

L’incentivo è comunque applicabile qualora l’incremento occupazionale netto non si realizzi in quanto il posto o i posti di lavoro precedentemente occupati si siano resi vacanti a seguito di:

  • dimissioni volontarie;
  • invalidità;
  • pensionamento per raggiunti limiti d’età;
  • riduzione volontaria dell’orario di lavoro;
  • licenziamento per giusta causa.

Il requisito dell’incremento occupazionale netto deve, invece, essere rispettato nel caso in cui il posto o i posti di lavoro prima occupati si siano resi vacanti a seguito di licenziamenti per riduzione di personale. Il calcolo della forza lavoro si effettua mensilmente, confrontando il numero di lavoratori dipendenti equivalente a tempo pieno del mese di riferimento con quello medio dei 12 mesi precedenti, avuto riguardo alla nozione di “impresa unica”, cioè in relazione all’intera organizzazione del datore di lavoro e non rispetto alla singola unità produttiva presso cui si svolge il rapporto di lavoro. Il rispetto dell’eventuale requisito dell’incremento occupazionale deve essere verificato in concreto, in relazione a ogni singola assunzione per la quale s’intende fruire dell’incentivo. Il venire meno dell’incremento fa perdere il beneficio per il mese di calendario di riferimento; l’eventuale ripristino dell’incremento per i mesi successivi consente, invece, la fruizione del beneficio dal mese di ripristino fino alla sua originaria scadenza, ma non consente di recuperare il beneficio perso.

Per la valutazione dell’incremento occupazionale è necessario considerare le varie tipologie di lavoratori a tempo determinato e indeterminato, salvo il lavoro cosiddetto accessorio. Il lavoratore assunto – o utilizzato mediante somministrazione – in sostituzione di un lavoratore assente non deve essere computato nella base di calcolo, mentre va computato il lavoratore sostituito.

Coordinamento con altri incentivi

L’incentivo è espressamente cumulabile con l’esonero per l’occupazione giovanile della legge di Bilancio 2023, nonché con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, limitatamente al periodo di applicazione degli stessi. In caso di cumulo con altra agevolazione, come anticipato, l’incentivo è riconosciuto nella misura del 20% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali.

Pertanto, nel caso di scelta di cumulo con l’esonero per l’assunzione a tempo indeterminato di giovani previsto dalla legge di Bilancio 2023, il datore di lavoro interessato avrà diritto all’esonero totale della contribuzione datoriale nel limite massimo di 8.000 euro annui per un periodo di 36 o 48 mesi (qualora l’assunzione sia effettuata in una Regione del Mezzogiorno) e potrà ulteriormente fruire dell’incentivo economico, pari al 20% della retribuzione imponibile, per un periodo di 12 mesi.

Nelle ipotesi in cui i lavoratori assunti vengano occupati in Paesi extra comunitari non convenzionati (si applicano retribuzioni convenzionali per la contribuzione) l’incentivo non può trovare applicazione.

L’agevolazione è cumulabile, nei limiti del 20% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, con:

  • la riduzione contributiva fissata per i datori di lavoro agricoli che occupano personale nei territori montani o nelle singole zone svantaggiate;
  • le riduzioni contributive previste per il settore dell’edilizia;
  • le agevolazioni consistenti in un abbattimento della contribuzione previdenziale a carico del lavoratore.

La cumulabilità con altri regimi agevolati è possibile nel rispetto dei limiti massimi previsti dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato (50% dei costi ammissibili, da intendersi come la somma tra la retribuzione lorda e i contributi a carico del datore di lavoro).
Ammissione all’incentivo

Per conoscere con certezza la residua disponibilità delle risorse prima di effettuare l’eventuale assunzione, occorre inoltrare all’Inps il modulo di istanza on line “NEET23” (che sarà disponibile nell’applicazione “Portale delle Agevolazioni” del sito dell’Inps) indicando i seguenti dati:

  • il lavoratore nei cui confronti è intervenuta o potrebbe intervenire l’assunzione a tempo indeterminato o in apprendistato;
  • la Regione/Provincia Autonoma di esecuzione della prestazione lavorativa;
  • l’importo della retribuzione mensile media che sarà erogata, comprensiva dei ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità;
  • l’indicazione della tipologia di rapporto (se a tempo pieno o a tempo parziale) e l’eventuale percentuale oraria;
  • se per l’assunzione si intende fruire anche di altre agevolazioni;
  • la dichiarazione di possesso dei requisiti di accesso alla misura.

L’Inps, effettuati i controlli del caso, informa entro 5 giorni dalla data di invio della richiesta che è stato prenotato l’importo massimo dell’incentivo, proporzionato alla retribuzione indicata, per il lavoratore segnalato nell’istanza preliminare e il datore di lavoro, entro 7 giorni di calendario, ha l’onere di stipulare il contratto di lavoro e di comunicare, a pena di decadenza, entro ulteriori 7 giorni di calendario, l’avvenuta assunzione, chiedendo la conferma della prenotazione effettuata in suo favore (i termini sono perentori). Bisogna anche prestare la massima attenzione nel compilare correttamente i moduli telematici Inps e le comunicazioni telematiche obbligatorie (Unilav/Unisomm) perché non può essere accettata una domanda di conferma contenente dati diversi da quelli già indicati nell’istanza di prenotazione, né può essere accettata una domanda di conferma cui è associata una comunicazione Unilav/Unisomm non coerente.

Per non far perdere la priorità acquisita con l’invio della richiesta alle istanze di prenotazione dell’incentivo inizialmente non accolte per carenza di risorse, le stesse verranno contraddistinte dallo stato “non accolta provvisoria” e, nelle ipotesi in cui si liberassero delle risorse, le stesse, dopo avere superato positivamente gli ulteriori controlli, verranno automaticamente accolte.

Con riferimento ai rapporti a tempo parziale:

  • nell’ipotesi di variazione in aumento della percentuale oraria di lavoro in corso di rapporto, compreso il caso di assunzione a tempo parziale e successiva trasformazione a tempo pieno, il beneficio fruibile non potrà superare il tetto già autorizzato;
  • nelle ipotesi di diminuzione dell’orario di lavoro, compreso il caso di assunzione a tempo pieno e successiva trasformazione in part-time, sarà onere del datore di lavoro riparametrare l’incentivo spettante e fruire dell’importo ridotto.

Definizione delle istanze

L’autorizzazione alla fruizione dell’incentivo verrà effettuata dall’Inps in base all’ordine cronologico di presentazione delle istanze relative alle assunzioni effettuate a decorrere dal 31 luglio 2023.

Le sole istanze relative alle assunzioni a tempo indeterminato, effettuate tra il 1° giugno 2023 e il 30 luglio 2023 e pervenute nei 15 giorni successivi al rilascio della modulistica on line (che avverrà il 31 luglio) saranno elaborate secondo l’ordine cronologico di decorrenza dell’assunzione e saranno oggetto di un’unica elaborazione cumulativa posticipata, che verrà effettuata nel mese di settembre 2023. Fino alla data dell’elaborazione cumulativa posticipata, le istanze risulteranno ricevute dall’Inps – contrassegnate dallo stato di “Aperta” – e saranno suscettibili di annullamento ad opera dello stesso interessato; se l’interessato intende modificarne il contenuto, dovrà annullare l’istanza inviata e inoltrarne una nuova.

Contestualmente all’elaborazione cumulativa posticipata, sarà resa disponibile la funzionalità di inoltro dell’istanza di conferma per la definitiva ammissione al beneficio.

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Sempre valido l’obbligo di comunicazione dell’assenza per il lavoratore detenuto

Il lavoratore che si trovi in stato detentivo è sempre tenuto a dare comunicazione della propria assenza in maniera tempestiva, efficace ed esaustiva al proprio datore di lavoro.

Con la sentenza n. 13383/2023 i Giudici della Corte di cassazione confermano la legittimità del licenziamento disciplinare disposto dall’azienda in quanto il lavoratore, ancorché detenuto e temporaneamente in isolamento, avrebbe comunque dovuto comunicare al datore la propria assenza.

La pronuncia poggia le sue fondamenta sul concetto secondo il quale sono stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva le c.d. cause di sospensione del rapporto; si tratta di ipotesi specifiche durante le quali il lavoratore ha un vero e proprio diritto di non presentarsi al lavoro dovendosi ritenere giustificata l’assenza rispetto alla quale il prestatore di lavoro è obbligato soltanto a darne comunicazione al datore (ad esempio: malattia o infortunio, maternità, congedo matrimoniale e parentale, ferie e permessi).

Tuttavia, se il lavoratore non provvede a informare il datore di lavoro della propria assenza, ci si può trovare di fronte a una violazione disciplinare, dalla quale può discendere – in caso di assenza non giustificata – un provvedimento disciplinare.

Nel caso in esame, il contratto collettivo applicato (Terziario distribuzione servizi) prevede specificatamente il licenziamento quale sanzione disciplinare da applicarsi in caso di assenza ingiustificata per più giorni consecutivi.

In tutti i casi, il lavoratore è sempre tenuto a comunicare tempestivamente la propria assenza, sia nei casi regolati dalla legge o dalla contrattazione collettiva, ma anche in quelli in cui un diverso impedimento non gli consenta di rendere la propria prestazione. Il concetto è valido anche per le prestazione rese con telelavoro o in smart working.

Nello specifico, il licenziamento è stato determinato dall’assenza ingiustificata del lavoratore che, al termine del periodo di isolamento e rientrato nel regime ordinario di detenzione, non si era premurato di far giungere all’esterno la notizia della propria detenzione da far recapitare formalmente al datore di lavoro. In lavoratore, inadempiente rispetto all’onere di comunicazione, ha violato la disposizione del Ccnl applicato al rapporto di lavoro che prevedeva il licenziamento in caso di assenza ingiustificata superiore a 3 giorni. Il datore di lavoro è venuto a conoscenza della detenzione dopo oltre 2 mesi di assenza; quindi, il licenziamento era apparso al datore di lavoro inevitabile.

I Giudici evidenziano anche che la comunicazione resa dal lavoratore deve possedere dei requisiti minimi di formalità per essere ritenuta valida. Nel caso oggetto di giudizio, è stato ritenuto privo di effetti il fatto che il direttore generale fosse venuto incidentalmente a conoscenza della detenzione dalla moglie del lavoratore. Quest’ultimo avrebbe dovuto inviare una comunicazione scritta dal carcare, informando in maniera puntuale il datore di lavoro circa la propria situazione e la durata stimata dell’assenza. In difetto della comunicazione, il datore di lavoro non ha potuto avviare un processo organizzativo atto a sostituire il lavoratore assente.

A titolo generale, nel caso in cui il lavoratore si trovi in carcere, si ricorda che non c’è uno specifico automatismo tra azione penale e licenziamento: non si perde quindi il diritto alla conservazione del posto di lavoro solo perché si è stati tratti in arresto e sottoposti a misura cautelare custodiale.

E’ necessario verificare se il fatto commesso dal dipendente, che ha dato origine al processo penale, è tale da ledere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, valutando, quindi, la gravità dei fatti in relazione ad una serie di parametri quali:

  • natura del rapporto di lavoro;
  • tipo di mansioni assegnate;
  • grado di affidamento connesso all’esercizio di tali mansioni.

Lo stato di detenzione (anche preventiva) del dipendente per fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro, non costituisce quindi di per sé un inadempimento agli obblighi contrattuali e, quindi, non rappresenta una giusta causa di licenziamento.

La carcerazione può rappresentare una sopravvenuta impossibilità della prestazione (totale o parziale), che consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso in cui emerga che non persiste l’interesse del datore di lavoro a ricevere ulteriori e future prestazioni da parte del dipendente.

Il giudizio sulla portata dell’interesse deve essere fatto considerando molteplici fattori quali:

  • le dimensioni dell’impresa,
  • il tipo di organizzazione tecnico-produttiva in essa attuato,
  • la natura ed importanza delle mansioni del lavoratore detenuto,
  • il periodo di sua assenza già maturato,
  • la ragionevolmente prevedibile ulteriore durata dell’impossibilità sopravvenuta,
  • la possibilità di affidare temporaneamente ad altri le mansioni senza necessità di nuove assunzioni.
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Rischi da calore: il Ministero pubblica un vademecum

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato un vademecum con le indicazioni per i monitoraggi da mettere in atto in caso di svolgimento di prestazioni lavorative caratterizzate da esposizione ad alte temperature.

Il testo individua tra le attività prospettiche di maggior utilità quella di prevedere in un futuro prossimo lo sviluppo di un sistema di allerta caldo attraverso un accurato sistema previsionale incentrato sulla mappatura delle temperature.

Successivamente, analizza i rischi derivanti da lavorazioni connotate da esposizione ad elevate temperature, in prima battuta rispetto agli effetti generali che possono avere nei confronti dei lavoratori in termini come, per esempio:

  • esaurimento da calore;
  • colpi di calore;
  • mancanza di concentrazione;
  • scarsa capacità decisionale;
  • maggior stanchezza e spossatezza.

Infine, il vademecum fornisce alcune indicazioni circa i migliori accorgimenti da adottare in ipotesi di prestazioni rese con esposizione a temperature elevate, distinguendo tra le attività svolte in ambiente chiuso (per le quali è importante valutare correttivi nei processi, nella fisionomia dei locali, e nei mezzi utilizzati che impattano in termini di generazione di calore), rispetto a quelle eseguite all’aperto (per le quali è maggiormente rilevante agire sulla collocazione nell’arco della giornata, evitando le ore più calde).

Scarica e leggi il Vademecum

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Naspi in caso di dimissioni a causa di trasferimento

Sul dipendente trasferito in una sede lavorativa distante, che rassegni le dimissioni per giusta causa che danno diritto a Naspi, non ricade l’obbligo di provare che il trasferimento fosse privo di ragioni giustificatrici.

La sentenza del Tribunale di Torino n. 429/2023, di fatto, delegittima il messaggio Inps 369/2018 relativo al riconoscimento della Naspi per i lavoratori dimessi dopo un provvedimento di trasferimento in una sede distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore.

Nel caso di specie, una lavoratrice aveva ricevuto un provvedimento di trasferimento in un sito produttivo a più di 50 km di distanza dalla precedente sede di lavoro.

La lavoratrice ha rassegnato le dimissioni per giusta causa nel maggio 2022, indicando quale causale il «rifiuto di trasferimento in altra sede ad oltre 80 km dalla residenza». Pochi giorni dopo, azienda e lavoratrice hanno sottoscritto un verbale di conciliazione, pur mantenendo come causale di cessazione le dimissioni, per evitare qualsiasi ulteriore contenzioso.

La sede competente Inps ha rigettato la domanda di NASpI presentata dalla lavoratrice rilevando che, in caso di trasferimento a più di 50 km dalla residenza del lavoratore, la cessazione deve avvenire per risoluzione consensuale per poter accedere alla Naspi. Nel caso di dimissioni per giusta causa, la sede ha ribadito che resta necessario che il lavoratore provi anche che il trasferimento non sia sorretto da ragioni tecniche, organizzative e produttive, indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.

A seguito di contenzioso, la prassi dell’Istituto è stata ritenuta illegittima dal Tribunale di Torino secondo cui l’Inps, in assenza di un riferimento normativo, ha introdotto una forte distinzione dei requisiti di accesso tra casi analoghi.

Nello specifico, l’Inps, con il messaggio 369/2018, ha distinto, in caso di trasferimento in una sede distante più di 50 km dalla residenza (o con un tempo di percorrenza coi mezzi pubblici di più di 80 minuti), la modalità di cessazione:

  • in caso di risoluzione consensuale, la Naspi è riconosciuta senza criticità;
  • se la cessazione interviene con dimissioni per giusta causa, Inps richiede che il trasferimento sia avvenuto in assenza delle necessarie ragioni tecniche, organizzative o produttive.

Questo si traduce nell’obbligo, per il dipendente, di corredare la domanda di Naspi con una documentazione che faccia emergere la volontà di difendersi in giudizio dal datore di lavoro (allegando diffide, denunce, citazioni, ricorsi) e impegnandosi a comunicare l’esito della controversia.

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INL: tutela dei lavoratori per il rischio collegato ai danni da calore

La nota n. 5056 del 13 luglio 2023 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), viste le condizioni climatiche in atto, richiama l’attenzione dei propri Uffici territoriali sui profili di tutela dei lavoratori per i rischi legati ai danni da calore, sia in fase di vigilanza ispettiva, sia in occasione dell’attività di informazione e prevenzione da rivolgersi ai datori di lavoro e ai lavoratori finalizzata a fornire utili elementi di conoscenza sugli effetti delle temperature estreme negli ambienti di lavoro e sulla relativa percezione del rischio.

Nello specifico, l’Inl evidenzia come l’esposizione eccessiva allo stress termico comporta l’aumento del rischio infortunistico atteso che la prestazione lavorativa si espone a situazioni particolari di vulnerabilità.

Le mansioni più interessate da tali fenomeni sono quelle che comportano attività non occasionale all’aperto, nei settori più esposti al rischio: edilizia civile e stradale (con particolare rilevanza per i cantieri e i siti industriali), comparto estrattivo, settore agricolo e della manutenzione del verde, comparto marittimo e balneare, per citare i maggiori.

Altri fattori importanti, rilevanti nella valutazione del rischio e/o del suo aggravamento, che devono essere monitorati al fine di ridurre i rischi del lavoro in condizioni di calore, sono:

  • gli orari di lavoro che comprendono le ore più calde e soleggiate della giornata a elevato rischio di stress termico (14:00 – 17:00);
  • le mansioni;
  • le attività che richiedono intenso sforzo fisico, anche abbinato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (DPI);
  • l’ubicazione del luogo di lavoro;
  • la dimensione aziendale;
  • le caratteristiche di ogni singolo lavoratore (età, salute, status socioeconomico, genere).

L’In ricorda che è sempre possibile per le aziende, nel caso di temperature elevate registrate dai bollettini meteo o “percepite” in ragione della particolare tipologia di lavorazioni in atto, richiedere la cassa integrazione guadagni ordinaria evocando la causale “eventi meteo”. Si considerano elevate le temperature superiori a 35° centigradi. Nella domanda di CIGO e nella relazione tecnica da allegare, l’azienda deve solo indicare le giornate di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa e specificare il tipo di lavorazione in atto nelle giornate medesime, senza necessità di produrre dichiarazioni che attestino l’entità della temperatura o di produrre bollettini meteo.

La CIGO, inoltre, è riconosciuta – Indipendentemente dalle temperature rilevate – in tutti i casi in cui il responsabile della sicurezza dell’azienda dispone la sospensione delle lavorazioni in quanto ritiene sussistano rischi o pericoli per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi i casi in cui le sospensioni siano dovete a temperature eccessive.

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Inail: Eventi lesivi occorsi all’Rls, Rlst e Rls di sito produttivo

L’Inail afferma che l’attività svolta dai rappresentanti dei lavoratori della sicurezza è assimilabile all’attività lavorativa perché volta al conseguimento degli interessi di entrambe le parti del rapporto di lavoro, svolgendo attività di supporto al datore di lavoro nella promozione degli interventi atti a garantire la salute e sicurezza nell’ambito dell’azienda.

La Circolare n. 23/2023 dell’Istituto fornisce chiarimenti in merito agli eventi lesivi accaduti ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza aziendale o di unità produttiva, territoriali e di sito produttivo in occasione dell’esercizio delle loro attribuzioni, confermando che gli stessi sono compresi nella tutela assicurativa in quanto riferibili all’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo.

In relazione all’obbligo assicurativo, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è sempre assicurato contro gli infortuni e le malattie professionali, con oneri a carico del datore di lavoro, ai sensi degli articoli 1 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti per l’assicurazione obbligatoria di tutti i lavoratori.

Ne consegue che gli eventi lesivi accaduti ai rappresentanti dei lavoratori della sicurezza di azienda o di unità produttiva, che occorrono nello svolgimento delle loro funzioni o a esse strumentalmente collegati, sono da considerarsi infortuni avvenuti in occasione di lavoro e quindi sono compresi nella tutela assicurativa salvo che si accerti l’assenza dell’occasione di lavoro.

Anche nel caso in cui anziché l’Rls sia presente il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (cui competono le stesse attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di azienda o unità produttiva, ma le cui funzioni sono esercitate con riguardo a più aziende o unità produttive presenti sul medesimo territorio o nel medesimo comparto), eventuali eventi lesivi accaduti in occasione dell’esercizio delle relative attribuzioni sono compresi nella tutela assicurativa in quanto riferibili all’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo.

Il documento interviene anche in tema di “tutelabilità” degli infortuni occorsi al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo (individuato tra i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza delle aziende operanti nel medesimo sito produttivo e su iniziativa degli stessi, in contesti caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri e nei contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti nell’area superiore a 500). Anche in questo caso, eventuali eventi lesivi sono compresi nella tutela assicurativa in quanto riferibili all’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo.

In conclusione, l’Inail precisa che tutti i rappresentanti della sicurezza sono assicurati dal datore di lavoro alle voci della vigente tariffa ordinaria dipendenti in base alla classificazione delle lavorazioni principali esercitate dal datore di lavoro: il rischio assicurato derivante dalle lavorazioni principali comprende anche quello connesso all’esercizio delle attribuzioni previste per legge in capo ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza aziendale o di unità produttiva, territoriali e di sito produttivo, senza necessità di classificare autonomamente l’attività in discorso. Ne consegue che, gli eventi lesivi eventualmente occorsi ai predetti rappresentanti dei lavoratori sono considerati ai fini dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico della posizione assicurativa territoriale di cui è titolare il datore di lavoro.

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Cassazione: il termine apposto al contratto deve essere specifico e temporaneo

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10223/2023, si pronuncia in tema di apposizione del termine nel contratto di lavoro subordinato.

I Giudici affermano che, quando al contratto di lavoro subordinato viene apposto un termine per motivazioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, le stesse devono risultare specificate – a pena di inefficacia – all’interno dell’atto scritto.

In aggiunta, le motivazioni devono essere indicate  dal datore di lavoro in modo circostanziato e puntuale, per assicurare:

  • la trasparenza e la veridicità di tali ragioni,
  • l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto,
  • le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato.

Questo processo si rende necessario per evidenziare la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa.

Sarà compito del Giudice di merito valutare gli elementi acquisiti durante il processo, idonei a dare riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione, compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.

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