Impiego di lavoratore extra comunitario senza permesso di soggiorno: la pronuncia della Cassazione

La sentenza di Cassazione n. 37866/2024 riporta l’attenzione sul tema dell’assunzione di cittadini extra comunitari privi del permesso di soggiorno.

Ricordiamo che l’art. 22 del D.L.vo n. 286/1998 punisce il datore di lavoro che impieghi per sé o recluti lavoratori per farli lavorare presso altri, comprendendo non solo l’imprenditore che pone in essere una attività organizzata, ma anche il semplice cittadino che assume alle proprie dipendenze una lavoratrice destinata a svolgere una qualsiasi attività subordinata attraverso un rapporto a termine o a tempo indeterminato come nel caso del lavoratore domestico.

La norma, che si applica anche in presenza di un permesso scaduto o non rinnovato, stabilisce per il datore la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa di 5.000 euro per ogni cittadino extracomunitario irregolare impiegato.

Il caso in esame, riguardava un datore di lavoro condannato in primo grado per aver assunto con contratto di lavoro domestico per la cura dei proprio genitori, una cittadina di origine moldava, priva del permesso di soggiorno.

Secondo i Giudici della Corte d’Appello l’imputato non aveva commesso il fatto; la decisione si fonda sula fatto che la persona non avesse assunto la qualità di datore di lavoro “essendosi accertato che il padre, sebbene anziano, era un soggetto autosufficiente in grado di gestire i propri interessi, ivi compreso il pagamento della retribuzione mensile”.

La pronuncia definitiva dalla Corte di Cassazione annulla la sentenza di Appello, affermando che si identifica datore di lavoro anche il semplice cittadino che assume – per sé o per conto di altri – lavoratori privi del permesso di soggiorno. Nello specifico, la persona ha avuto un comportamento attivo, perché ha contattato la badante e l’ha assunta, a causa delle precarie condizioni di salute dei propri genitori, riservandosi di regolarizzarla in un momento successivo; circostanza che non si è mai verificata.

La sentenza ripercorre il sentiero già intrapreso nella precedente sentenza n. 12686/2023, nella quale si afferma che la previsione della legge identifica in un c.d. “reato proprio” quello che può essere commesso solo dal datore di lavoro e che si verifica ogni volta che la prestazione lavorativa del dipendente extra comunitario si svolga nell’interesse e sotto la direzione di un soggetto terzo come il figlio di genitori anziani.

Cassazione: mobbing e straining

La Cassazione Civile – Sezione Lavoro nella Sentenza 15957/2024 opera le seguenti classificazioni i termini di mobbing e straining:

  • Si configura la fattispecie di mobbing lavorativo quando ricorre l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro, e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima, a prescindere dall’illegittimità intrinseca di ciascun comportamento;
  • Si configura lo straining quando vi siano comportamenti “stressogeni” scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie.

Cassazione: come rileva la tipizzazione del Ccnl nel licenziamento disciplinare

La Sentenza n. 5588/2024 della Cassazione Civile – Sezione Lavoro – stabilisce che, in materia di licenziamento per giusta causa, non è vincolante la tipizzazione contenuta nel Ccnl, poiché il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti della fattispecie.

Tuttavia, è bene ricordare che la scala dei valori di riferimento fissata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri utilizzati per integrare la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (recesso per giusta causa), poiché al datore di lavoro è preclusa la possibilità di irrogare un licenziamento disciplinare se lo stesso configura una sanzione più grave di quella prevista dal Ccnl in relazione ad una determinata infrazione.

Metalmeccanica artigianato: firmato l’accordo per il rinnovo

Il 19 novembre 2024 è stato sottoscritto dalle parti sociali (Confartigianato Imprese, Cna, Casartigiani, Claai, e i sindacati dei lavoratori Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil) l’accordo per il rinnovo del Ccnl dell’Area Meccanica – Artigianato.

La sfera di applicazione del nuovo testo, oltre alle imprese artigiane della metalmeccanica, installazione di impianti, autoriparatori, orafi, argentieri e affini, nonché alle aziende del settore odontotecnica e del restauro, viene estesa alle imprese artigiane che svolgono attività di progettazione industriale e di macchine e alle imprese che operano nei settori della metalmeccanica e installazione di impianti specializzate nei servizi svolti nell’ambito di attività subacquee.

L’accordo copre il periodo 2023-2026, già in parte coperto con l’erogazione di un importo mensile a titolo di Afac (Acconto su futuri aumenti contrattuali). Questo elemento economico sarà presente nei cedolini paga fino al 30 novembre 2024, dopodiché cesserà di essere erogato a titolo di acconto e diverrà, a tutti gli effetti, parte della retribuzione tabellare a partire dal 1° dicembre 2024.

In aggiunta all’importo di cui sopra, è stato previsto un nuovo incremento retributivo. L’incremento sarà erogato 4 tranches; a regime, le retribuzioni saranno in incrementate dei seguenti importi:

– Metalmeccanica e Installazione di Impianti: 120 euro al 4° livello;

– Orafi, Argentieri e Affini: 120 euro al 4° livello;

– Restauro: 144 euro al 4° livello;

– Odontotecnici: 109 euro al 4 livello.

Gli importi retribuitivi relativi agli altri livelli di inquadramento saranno oggetto di uno specifico accordo sottoscritto tra le organizzazioni datoriali e sindacali.

Tra le altre novità contenute nel testo troviamo:

  • l’introduzione degli scatti di anzianità per tutti i lavoratori in apprendistato nella misura di 10 euro, la cui maturazione decorre per tutti (neo assunti e rapporti in corso) a partire dal 1° gennaio 2024;
  • l’allungamento del periodo di preavviso in caso di licenziamento e dimissioni;
  • previsione di 16 ore di formazione individuale da svolgersi durante l’orario di lavoro.

E’ introdotta anche una modifica alla normativa dell’orario di lavoro, secondo la quale sarà possibile stipulare accordi per la distribuzione non uniforme dell’orario giornaliero, oggi pari a 8 ore. La distribuzione non uniforme può essere realizzata nel limite di 9 ore giornaliere di lavoro ordinario e a condizione che non si tratti di una modifica meramente transitoria, ma riguardi esigenze organizzative strutturali.

Nell’ambito della sua applicazione restano fermi i limiti di cui all’articolo 22 comma terzo che prevedono: massimo 2 ore giornaliere di lavoro straordinario e 10 ore settimanali.

Massimale contributivo Inps: chiarimenti in caso di impiego di un pensionato

Il Messaggio Inps n. 3748/2024 riporta chiarimenti relativamente al corretto adempimento dell’obbligo contributivo nei casi di reimpiego del lavoratore o di prosecuzione del rapporto successive al conseguimento del trattamento pensionistico.

L’elemento che rileva per la verifica del corretto adempimento contributivo da parte del datore di lavoro è la data di prima iscrizione a forme pensionistiche obbligatorie. Nello specifico, il legislatore ha individuato un preciso riferimento temporale (1° gennaio 1996) da considerare per la valutazione dello status di “vecchio” o “nuovo” iscritto a cui collegare gli effetti derivanti, rispettivamente, dalla disapplicazione o dall’applicazione del massimale.

Nel merito, il Ministero del Lavoro ha chiarito che il reimpiego del lavoratore in un momento successivo alla liquidazione di un trattamento pensionistico non determina il venire meno dello status di “vecchio iscritto” originariamente acquisito.

Pertanto, la data di prima iscrizione a forme pensionistiche obbligatorie continua a rimanere valida ai fini dell’applicazione della disposizione di cui all’articolo 2, comma 18, della legge n. 335 del 1995, indipendentemente dall’eventuale fruizione di una prestazione previdenziale.

Il Ministero ha, inoltre, sottolineato che  – ove il soggetto dopo il pensionamento intraprenda un’attività libero-professionale che richieda l’iscrizione presso un ente di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996 – tale attività è sottoposta alla specifica disciplina ordinamentale adottata in materia dall’ente di riferimento.

Cassazione: in caso di reintegra il lavoratore è ricollocato nel luogo e nelle mansioni originarie

L’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro emanato dal giudice nel sanzionare un licenziamento illegittimo esige che il lavoratore sia in ogni caso ricollocato nel luogo e nelle mansioni originarie.

E’ il contenuto della Sentenza n. 18892/2024 della Cassazione Civile – Sezione Lavoro. Secondo i Giudici, resta, comunque, salva la facoltà per il datore di lavoro di disporne, con successivo provvedimento, il trasferimento ad altra unità produttiva, laddove ne ricorrano le condizioni tecniche, organizzative e produttive previste dall’articolo 2103, cod. civ., salva la dimostrata impossibilità, la cui prova incombe sul datore di lavoro, dovuta a insussistenza di posti comportanti l’espletamento delle ultime mansioni o di mansioni equivalenti.

Cassazione: vietati i controlli investigativi sull’adempimento dell’attività lavorativa

La Sentenza n. 17004/2024 della Cassazione Civile – Sezione Lavoro stabilisce che, in tema di contratti di lavoro, il controllo di terzi (siano questi guardie particolari giurate o addetti di un’agenzia investigativa) non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza.

In conseguenza di ciò, la sentenza d’appello che conferma il licenziamento per giusta causa basato sull’assunto secondo il quale l’attività lavorativa del dipendente poteva essere controllata dall’agenzia investigativa al fine di verificare il corretto adempimento delle prestazioni cui questi era tenuto, viene cassata con rinvio.

Assicurazione per le imprese contro le calamità

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha pubblicato lo scorso 23 settembre 2024 sul proprio sito istituzionale una notizia che rende nota la presentazione dello schema di Decreto Interministeriale (di prossima emanazione) relativo all’obbligo per le imprese di stipulare polizze assicurative per danni derivanti da eventi catastrofali.

Ai sensi dell’articolo 1, commi 101 e ss. della Legge 30 dicembre 2023, n. 213, entrerà in vigore il primo gennaio 2025 l’obbligo assicurativo per tutte le imprese con sede legale o stabile organizzazione in Italia, relativamente ai danni causati da calamità naturali ed eventi catastrofali a terreni, fabbricati, impianti, macchinari e attrezzature industriali e commerciali, iscritti a bilancio.

Il Decreto Interministeriale implementerà quanto già previsto dal DDL ‘Ricostruzione’, ora all’esame del Parlamento, che introduce l’obbligo per le imprese assicurative di corrispondere un anticipo del 30% del danno per i sinistri legati a eventi catastrofali.

Cassazione: se l’obbligo di “accomodamenti ragionevoli” è violato, il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta è nullo

La sentenza n. 14307/2024 della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, afferma che il licenziamento motivato dalla sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore allo svolgimento delle mansioni – se intimato in violazione dell’obbligo di adottare “accomodamenti ragionevoli”  e, quindi, in violazione di doveri imposti per rimuovere gli ostacoli che impediscono a una persona con disabilità di lavorare in condizioni di parità con gli altri lavoratori – realizza una discriminazione diretta ed è pertanto nullo, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria piena, di cui all’articolo 18, commi 1 e 2, St. Lav.