Smart working: le nuove proroghe

La proroga della possibilità di richiedere lo smart working per alcune specifiche categorie di lavoratori contenuta nella Legge 85/2023 (conversione del decreto lavoro), porta il delinearsi di regole distinte per ogni fattispecie; analizziamo di seguito le casistiche.

Il linea generale, il lavoro agile è normato dalla legge 81/2017 che, nello specifico, non prevede il coinvolgimento della contrattazione collettiva.

Il Protocollo sullo smart working del 2021, invece, chiama in causa la contrattazione di settore, colmando alcune lacune.

Poiché – allo stato attuale – non tutti i contratti collettivi hanno recepito le linee guida previste dall’Accordo, in caso di attivazione dello smart working, ci si trova davanti a contesti diversi in base all’attività svolta.

Smart working “ordinario”

Cessata la procedura semplificata in vigore durante la pandemia, per poter accedere allo smart working è necessaria la stipula di un accordi individuale tra datore di lavoro e lavoratore, volto a regolarne gli aspetti essenziali.

Nel caso in cui la contrattazione collettiva di settore regoli lo smart working, l’accordo individuale dovrà tenere conto di tali disposizioni.

Smart working per lavoratori fragili (fino al 30 settembre 2023)

Sono considerati lavoratori fragili quelli affetti da determinate patologie, come indicato nel decreto del ministro della Salute del 4 febbraio 2022. In questo caso, non è necessaria la sottoscrizione dell’accordo individuale per attivare lo smart working, perché questi lavoratori sono in possesso di un diritto soggettivo ad accedere a tale forma di lavoro, che prescinde dal consenso o dall’eventuale dissenso del datore.

La situazione medica, per essere posta alla base del diritto al lavoro agile, deve essere attestata dal medico di medicina generale del lavoratore mediante il rilascio di un’apposita certificazione.

Tale condizione legittima anche l’attribuzione di una mansione diversa (purché compresa nella medesima categoria o area di inquadramento e senza penalizzazioni retributive) per consentire lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working.

Lavoratori genitori di figli fino a 14 anni di età (fino al 31 dicembre 2023)

In questo caso, il lavoratore ha diritto allo smart working solo se – nel nucleo familiare – l’altro genitore non beneficia di strumenti di sostegno al reddito per sospensione o cessazione dell’attività lavorativa oppure che non sia disoccupato.

Se si verificano questi requisiti, il lavoratore può fare richiesta per accedere allo smart working, ma – diversamente da quanto accade per i lavoratori fragili – il datore di lavoro può discrezionalmente decidere se concederlo o meno.

Possono utilizzare lo smart working fino al 31/12/2023 anche i lavoratori cosiddetti fragili, cioè i lavoratori dipendenti più esposti al rischio di contagio da Covid per età anagrafica o perché immunodepressi in quanto affetti da patologie oncologiche, sottoposti a terapie salvavita e, più in generale, coinvolti in una situazione di maggiore rischio; la condizione deve essere individuata da apposita certificazione medica.

Ipotesi ulteriori

A tutto quanto sopra esposto, si aggiungono le ipotesi di accesso prioritario per la richiesta e la concessione dello smart working:

  • Lavoratori con figli fino a 12 anni;
  • Lavoratori con figli in condizioni di disabilità grave, senza requisito anagrafico.

Procedura

Sul sito del Ministero del lavoro è stato aggiornato il modello da utilizzare per comunicare i nominativi dei lavoratori in smart working, a seguito dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto Lavoro.

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Legge 104/92: eliminazione del referente unico

I permessi di cui all’articolo 33 comma 3 della Legge n. 104 del 05/02/1992, noti come permessi concessi ai lavoratori per l’assistenza dei soggetti disabili sono stati recentemente riformati (Circolare INPS n. 39 del 04/04/2023).

Il decreto legislativo n. 105/2022 ha eliminato il principio del “referente unico dell’assistenza” riconoscendo il diritto ad usufruire dei permessi, restando nel limite complessivo di tre giorni al mese, a più soggetti che possono fruirne in via alternativa tra loro.

Pertanto, è stato esteso un riconoscimento che fino ad ora era ammesso solo per i genitori richiedenti permessi per l’assistenza del figlio disabile.

Attualmente sulle domande di accoglimento da parte dell’INPS sarà indicato che i giorni di permesso per l’assistenza alla stessa persona disabile, nel limite indicato dei tre giorni, saranno fruibili alternativamente tra tutti gli aventi diritto .

Questa possibile e contemporanea fruizione dei permessi nell’arco dello stesso mese da parte di più lavoratori sarà assoggettata al monitoraggio da parte dell’INPS che verificherà il rispetto del limite mensile imposto e la corretta alternanza tra gli aventi diritto.

Al fine di non incorrere in errori, lo Studio consiglia vivamente la compilazione del modulo presente all’interno dell’area riservata aziende del sito di studio, nel quale dovranno essere riportati i dati del lavoratore richiedente ed i giorni di permesso usufruiti nel mese dallo stesso; parimenti si dovranno inserire i giorni usufruiti nel medesimo mese dall’altro o altri aventi diritto.

Vai all’area riservata aziende del sito di studio.

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Nuovo Codice degli Appalti: novità per il Ccnl applicabile

Il nuovo Codice degli appalti pubblici riformula la previsione riguardante l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro nell’esecuzione dell’appalto. Il testo del D.lgs. 36/2023 è in vigore dallo scorso 1° aprile, ma ha efficacia a partire dal 1° luglio 2023.

La precedente formulazione del Codice aveva dato l’avvio a numerosi contenziosi dovuti alla discordanza delle interpretazioni in merito all’esatta individuazione del contratto o all’individuazione dell’attività oggetto dell’appalto.

La nuova formulazione del codice (articolo 11) prevede che vengano indicati i contratti collettivi applicabili al personale dipendente impiegato nell’appalti, già nei bandi e negli inviti delle stazioni appaltanti.

L’operatore economico, già dalla prima offerta, potrà indicare il differente contratto collettivo applicato. Questo deve, però, garantire ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante. Quest’ultima, prima di procedere all’eventuale affidamento, è tenuta ad acquisire la dichiarazione con cui l’operatore economico si impegna ad applicare il contratto collettivo indicato per l’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto per tutta la loro durata, o la dichiarazione di equivalenza.

La stazione appaltante assicura il rispetto della predetta norma di tutela normativa ed economica, anche nei confronti dei dipendenti da eventuali imprese subappaltatrici. In caso di inosservanza, il Responsabile unico del progetto (Rup), conformemente a quanto previsto in caso di mancato pagamento delle retribuzioni, può invitare il soggetto inadempiente (appaltatore e/o subappaltatore) a sanare l’irregolarità entro 15 giorni, fino a giungere all’eventuale pagamento diretto.

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Rinnovato il Ccnl Legno e Arredo industria

Il 20 giugno scorso è stato sottoscritto dalle parti sociali il verbale di accordo di rinnovo per il Ccnl Legno e Arredo industria.

Le modifiche riguardano esclusivamente l’aspetto economico del Ccnl, mentre non sono state apportate modifiche alla parte normativa.

Aumenti retributivi

Già a partire dal mese di luglio 2023 sono previsti i seguenti incrementi delle retribuzioni:

AE1                            1.635,92 euro

AE2                           1.848,59 euro

AE3                           1.933,34 euro

AE4/AS1                  2.017,57 euro

AC1/AS2                  2.084,81 euro

AS3                           2.170,96 euro

AC3/AC2/AS4       2.254,82 euro

AC4                          2.423,62 euro

AC5                          2.592,29 euro

AD1                          2.704,78 euro

AD2                         2.818,22 euro

AD3 (quadri)         2.872,45 euro

E’ prevista, inoltre, la possibilità di ulteriori e futuri aumenti nell’anno 2024, a seguito della verifica dell’inflazione con Ipca non depurato.

Una tantum

Ai lavoratori in forza alle date di erogazione, viene corrisposto un importo una tantum a copertura del periodo 1° gennaio 2023 – 30 giugno 2023.

L’importo dell’una tantum è pari a 600,00 euro lordi e sarà così suddivisa:

  1. 300,00 euro lordi erogati con la mensilità di luglio 2023;
  2. 300,00 euro lordi erogati con la mensilità di marzo 2024.

L’importo dell’una tantum è riparametrato:

  • per i lavoratori part-time in base all’orario di lavoro effettivo,
  • per i lavoratori in assunti nel periodo 01/01/2023 – 30/06/2023 in base ai mesi effettivamente lavorati e retribuiti.
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Corte d’Appello: L’appalto non è genuino se i lavoratori sono gestiti da un software

La Corte d’Appello di Venezia – nella Sentenza del 30 marzo 2023 – si pronuncia sulla gestione degli appalti c.d. labour intensive (dove il lavoro ha un peso preponderante). Nel caso di specie, la prestazione era organizzata e gestita tramite un software della committente che veniva utilizzato da quest’ultima per impartire ai lavoratori della cooperativa i ritmi e le modalità di lavoro; i lavoratori erano previamente identificati con un sistema di riconoscimento vocale cui è associato un bar code.

Secondo i Giudici, preso atto dello schema utilizzato nell’ambito di un appalto di servizi di logistica in un magazzino della società committente all’interno del quale i lavoratori della cooperativa curavano le attività di addetti al ricevimento/smistamento merci e alle pulizie, l’appalto non è genuino e, pertanto, si verifica la fattispecie dell’interposizione illecita di manodopera. A nulla rileva il fatto che la cooperativa fosse incaricata della gestione di uno o più servizi da svolgere all’interno del medesimo appalto “endo-aziendale”, perché l’attività veniva gestita in maniera preponderante attraverso una voce sintetica elaborata dal software della committente, che guida i lavoratori nel corso del turno di lavoro impartendo «ogni più minuta direttiva, centinaia di volte al giorno».

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Agevolazioni Under 36 e Donne svantaggiate: arriva l’autorizzazione della Commissione Europea

La Commissione europea ha dato esito positivo alla procedura autorizzativa per le agevolazioni all’assunzione di giovani lavoratori di età inferiore a 36 anni e di donne “svantaggiate”, per un importo massimo pari a 8.000 euro per contratto di assunzione.

Per essere ammissibili, i datori di lavoro privati devono aver assunto lavoratori nel periodo compreso tra il 1º luglio 2022 e il 31 dicembre 2023.

La procedura attuata dalla Commissione è volta a constatare che i regimi italiani siano in linea con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo per la crisi e la transizione (temporary framework).

Nello specifico, l’aiuto:

  • non supererà l’importo di 250.000 euro per ciascun beneficiario attivo nella produzione primaria di prodotti agricoli, 300.000 euro per ciascun beneficiario attivo nei settori della pesca e dell’acquacoltura e 2 milioni di euro per ciascun beneficiario attivo in tutti gli altri settori;
  • sarà concesso entro il 31 dicembre 2023.

Poiché, sempre secondo le indagini condotte dalla Commissione, i regimi italiani sono necessari, adeguati e proporzionati per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro, in linea con l’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del TFUE e con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo per la crisi e la transizione, sono state approvate le misure di aiuto in quanto conformi alle norme dell’Unione sugli aiuti di Stato.

Per procedere con la fruizione delle agevolazioni, sarà comunque necessario attendere l’ufficialità dell’autorizzazione e la circolare dell’Inps contenente le modalità operative.

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Metalmeccanica industria: da giugno i nuovo minimi retributivi

A decorrere dal mese di giugno 2023 saranno operativi i nuovi minimi retributivi per i lavoratori del settore metalmeccanica industria. I nuovi importi sono stati stabiliti dalla parti sociali (Federmeccanica, Assistal e Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil) sulla base della stima dell’inflazione misurata dall’indice Ipca, al netto dei beni energetici importati. L’aumento, che si aggiunge agli importi già stabiliti nel 2021 in sede di rinnovo contrattuale, sarà del + 6,6% per tutti i livelli.
Di seguito i nuovi importi:

D1    1.608,67 €

D2   1.783,90 €

C1    1.822,43 €

C2   1.860,97 €

C3   1.993,04 €

B1   2.136,25 €

B2  2.291,85 €

B3  2.558,63 €

A1  2.619,93 €

Al seguente link è possibile visionare l’accordo di ratifica del 16 giugno 2023.

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Assegno per il nucleo familiare: nuovi livelli reddituali per il periodo 1° luglio 2023 – 30 giugno 2024

I livelli di reddito familiare ai fini della corresponsione dell’Assegno per il nucleo familiare sono rivalutati annualmente, con effetto dal 1° luglio di ciascun anno, in misura pari alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), calcolata dall’ISTAT, intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell’Assegno e l’anno immediatamente precedente, così come previsto dal decreto-legge 69/1988 (convertito, con modificazioni, dalla legge 153/1988)

Con l’entrata in vigore dell’Assegno Unico e universale per i figli a carico è stato abrogato l’Assegno per il nucleo familiare per i nuclei con figli e orfanili; i nuovi livelli di reddito familiare riguardano esclusivamente i nuclei con familiari diversi da quelli con figli e orfanili e, quindi, composti dai coniugi, dai fratelli, dalle sorelle e dai nipoti. Pertanto, la rivalutazione di cui in premessa avviene con esclusivo riferimento alle tabelle 19, 20A, 20B, 21A, 21B, 21C, 21D; i nuovi importi rivalutati (validi per il periodo 01/07/2023 – 30/06/2024) sono contenuti nell’allegato 1 alla Circolare Inps n. 55/2023.

La variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, al netto dei tabacchi, calcolata dall’ISTAT tra l’anno 2022 e l’anno 2021, è risultata pari a + 8,1 per cento. Gli stessi livelli di reddito avranno validità per la determinazione degli importi giornalieri, settimanali, quattordicinali e quindicinali della prestazione.

Consulta l’Allegato 1 alla Circolare Inps n. 55/2023

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La proposta di part-time assolve l’obbligo di repêchage

Il datore di lavoro che offra ai lavoratori la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, al fine di evitare eventuali licenziamenti in una situazione di esubero di personale, può considerare assolto l’obbligo di repêchage.

Questo è quanto espresso da una recente pronuncia della Corte di Cassazione in relazione ad un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con particolare riguardo all’obbligo di repêchage tradizionalmente posto in capo al datore di lavoro e al suo possibile adempimento mediante l’offerta al dipendente di passare dal tempo pieno al tempo parziale.

Questo nonostante la previsione dell’articolo 8, co. 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81,il quale dispone che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro (che sia in corso di svolgimento) da tempo pieno a rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

I motivi della Sentenza poggiano sui seguenti presupposti:

a) la norma di cui all’articolo 8, co. 1, del decreto legislativo n. 81/2015 – se esclude che il rifiuto di trasformazione del rapporto in part time possa costituire di per sé giustificato motivo di licenziamento – non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del part time ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere di prova posto a carico di parte datoriale;

b) in tal caso, per ritenere sussistente il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, occorre che sussistano, e che siano dimostrate dal datore di lavoro:

– effettive esigenze economiche e organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto;

– l’avvenuta proposta al dipendente o ai dipendenti di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e il rifiuto dei medesimi;

– l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di riduzione dell’orario e il licenziamento;

c) il rifiuto della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale diventa una componente del più ampio onere di prova del datore, che comprende le ragioni economiche da cui deriva l’impossibilità di continuare a utilizzare la prestazione a tempo pieno e l’offerta del part time rifiutata;

d) il licenziamento non è intimato a causa del rifiuto ma a causa della impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno e del rifiuto di trasformazione del rapporto in part time.

Ne consegue che i Giudici escludono che il licenziamento fosse sorretto da un motivo ritorsivo unico e determinante nei confronti della attuale ricorrente e rigettano il ricorso presentato da una lavoratrice.

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Tfr: i chiarimenti della Cassazione

La Sentenza n. 4360/2023 della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, chiarisce aspetti applicativi e interpretativi riguardanti l’istituto del trattamento di fine rapporto.

I Giudici ribadiscono che si tratta di una prestazione economica della quale il lavoratore ha diritto al momento della cessazione del proprio rapporto di lavoro, a prescindere dal motivo della cessazione stessa; quindi, sia in caso di licenziamento che in caso di dimissioni o di raggiungimento dell’età pensionabile.

Nonostante il trattamento maturi durante lo svolgimento del rapporto, il Tfr è un compenso con corresponsione differita il cui diritto sorge al momento in cui il rapporto lavorativo cessa, con la conseguenza che è solo da tale momento che inizia a decorrere il relativo termine di prescrizione e iniziano a maturare gli interessi e la rivalutazione. Pertanto, non è possibile operare una rinuncia al Tfr prima della cessazione del rapporto di lavoro.

In conseguenza di ciò, la fattispecie per cui la quota di trattamento viene accantonata annualmente, altro non configura che una modalità di calcolo dell’unico diritto al Tfr stesso.

La Corte evidenzia in particolar modo, il concetto di retribuzione percepita cui fa riferimento l’articolo 2120 del codice civile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto. Nello specifico, si tratta di una retribuzione da intendersi come omnicomprensiva, in cui devono essere considerate tutte le somme che trovano la propria causa nel rapporto di lavoro, a prescindere dalla stretta correlazione con l’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa. Pertanto, devono essere conteggiati anche gli importi che, provenendo dal datore di lavoro ed essendo causalmente collegati al rapporto lavorativo, sono erogati materialmente da un soggetto diverso, nonché quelli erogati in forza di un contratto diverso da quello di lavoro che costituisce, tuttavia, uno strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato.

Detto ciò, ai fini della ricomprensione di un certo compenso nella base di calcolo del Tfr a nulla rileva che lo stesso sia definitivo, ma è sufficiente che il lavoratore, in corso e a causa del rapporto di lavoro, ne abbia goduto in modo normale.

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