Patente a punti per l’accesso i cantieri: uno sguardo alle novità, in attesa dell’entrata in vigore

Il 1° ottobre 2024 dovrebbe entrare in vigore la “patente a punti”, necessaria a imprese e lavoratori autonomi per operare nei cantieri edili mobili e temporanei.

In attesa della pubblicazione definitiva, il Consiglio di Stato ha promosso lo schema di decreto sulle modalità operative della patente a crediti nei cantieri, chiedendo però che le Autorità di controllo abbiano maggiore autonomia sui provvedimenti di sospensione.

Vediamo di seguito le principali caratteristiche.

Requisiti

La patente sarà rilasciata in formato digitale dall’Ispettorato del lavoro in presenza dei seguenti requisiti che possono anche essere autocertificati:

  • iscrizione alla CCIAA;
  • adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi formativi;
  • possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità;
  • possesso del documento di valutazione dei rischi, nei casi previsti dalla normativa vigente;
  • possesso della certificazione di regolarità fiscale, di cui all’art. 17-bis, commi 5 e 6, del D.Lgs. n. 241/1997, nei casi previsti dalla normativa vigente;
  • avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nei casi previsti dalla normativa vigente.

In caso di dichiarazione non veritiera, la patente sarà revocata per un anno.

Esclusioni

La patente non sarà necessaria per coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale e non sarà richiesta alle imprese in possesso dell’attestato di qualificazione SOA in classifica pari o superiore alla III.

Inoltre, per le imprese e i lavoratori autonomi stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia o in uno Stato non appartenente all’Unione europea è sufficiente il possesso di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità del Paese d’origine e, nel caso di Stato non appartenente all’Unione europea, riconosciuto secondo la legge italiana.

Il sistema di decurtazione dei punti

Il punteggio iniziale è pari a 30 punti; sono previste decurtazioni dei crediti previste in caso di infortuni gravi a danno dei lavoratori.

Nello specifico, per infortunio del lavoratore che comporti un’inabilità temporanea assoluta con l’astensione dal lavoro per più di 60 giorni (40 giorni nel testo attualmente in vigore), i punti sono ridotti da 10 a 5. Se l’infortunio comporta inabilità permanente al lavoro parziale i punti sono ridotti a 8, mentre restano 15 per l’inabilità permanente al lavoro assoluta (nel testo attualmente in vigore queste due fattispecie sono considerate insieme ed è prevista una decurtazione di 15 punti).

L’emendamento abolisce la possibilità di reintegrare i crediti decurtati a seguito della frequenza di appositi corsi di formazione.

I criteri per le modalità di recupero dei crediti decurtati saranno demandati ad un successivo decreto del ministero del lavoro, sentito l’Ispettorato nazionale del lavoro.

Infine, si evidenzia che la patente con punteggio inferiore a 15 crediti non consente alle imprese e ai lavoratori autonomi di operare nei cantieri, ma viene precisato che è consentito il completamento delle attività oggetto di appalto o subappalto in corso di esecuzione, quando i lavori eseguiti sono superiori al 30% del valore del contratto.

Sanzioni amministrative

Le sanzioni amministrative variano qualora si operi senza patente o con meno di 15 crediti.

In particolare, l’emendamento stabilisce che, in mancanza della patente o del documento equivalente per le imprese e i lavoratori autonomi stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia o in uno Stato non appartenente all’Unione europea o si operi con una patente con un punteggio inferiore a 15 crediti, si applica una sanzione amministrativa pari al 10% del valore dei lavori e, comunque, non inferiore a 6.000 euro.

Insieme alla sanzione pecuniaria, potrà essere disposta l’esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici di cui al D.Lgs. n. 36/2023 per un periodo di 6 mesi.

Obblighi per il committente o del responsabile dei lavori

Viene introdotto l’obbligo per il committente o il responsabile dei lavori di verificare il possesso della patente a punti o del documento equivalente per le imprese e i lavoratori autonomi stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia o in uno Stato non appartenente all’Unione europea da parte delle imprese esecutrici o dei lavoratori autonomi, anche nei casi di subappalto.

Se l’impresa non è tenuta al possesso della patente ai sensi dell’art. 27, comma 8, D.Lgs. n. 81/2008, il committente o il responsabile dei lavori dovrà accertarsi del possesso dell’attestato di qualificazione SOA.

Questi dovranno, inoltre, trasmettere all’amministrazione concedente una dichiarazione attestante l’avvenuta verifica del possesso di tale documentazione.

In caso di violazione della verifica del possesso della patente a crediti dell’impresa o del lavoratore autonomo o in caso di mancata trasmissione della dichiarazione di avvenuta verifica all’amministrazione concedente, è prevista, per il committente o il responsabile dei lavori la sanzione amministrativa pecuniaria da 711,92 a 2.562,91 euro (art. 157, D.Lgs. n. 81/2008).

Cassazione: è nullo il licenziamento ritorsivo mascherato con presunta crisi aziendale

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che, in realtà, sottende il rifiuto del lavoratore alla proposta di trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo parziale a pieno (o viceversa), è da considerare come ritorsivo e, pertanto, rientra tra le fattispecie di nullità che portano tutela reintegratoria.

E’ il contenuto dell’Ordinanza n. 18547/2024 della Corte di Cassazione. Nel caso in esame, un lavoratore – nei cui confronti era stato avviato un procedimento disciplinare per essersi opposto alla trasformazione del rapporto in uno a tempo parziale – era stato, successivamente, licenziato per giustificato motivo oggettivo per crisi aziendale.

La Corte di appello – riformando la sentenza del Giudice di primo grado – aveva annullato il licenziamento, con ordine di reintegrazione del lavoratore, ritenendo insussistente. La Corte di cassazione chiarisce che la pronuncia della Corte di merito non sanziona con la nullità un licenziamento intimato a seguito del rifiuto del part time, ma un licenziamento formalmente per giustificato  motivo oggettivo motivato da inesistenti e strumentali ragioni riferite ad una crisi aziendale, cui era sotteso l’intento di reagire al legittimo rifiuto del part time.

La differenza tra le due fattispecie risiede nel fatto che, mentre il licenziamento motivato dal rifiuto del dipendente della trasformazione del rapporto di lavoro va ritenuto ingiustificato, quello intimato a seguito di tale rifiuto e dubbiamente giustificato da una crisi aziendale insussistente è da considerarsi ritorsivo in quanto,  nel tentativo di eludere quanto previsto dall’articolo 8 del D.Lgs. 81/2015,  cela dietro un’asserita crisi, una ingiusta ed arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore, che attribuisce al licenziamento il connotato della vendetta.

Ne consegue che, al licenziamento ritorsivo si applica la tutela reintegratoria prevista dall’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, avendo la Corte Costituzionale (con la sentenza 22/2024) definitivamente escluso, quanto al regime del licenziamento nullo, la distinzione tra nullità espresse e nullità che tali non sono, fugando ogni residuo dubbio in proposito.

Corte Costituzionale: nell’impresa familiare anche il convivente

Secondo la Sentenza n. 148/2024 della Corte Costituzionale è costituzionalmente illegittimo il comma dell’articolo 230-bis del Codice civile nella parte in cui, disciplinando l’impresa familiare, non prevede, alla stessa stregua del familiare, anche il convivente di fatto, diversamente da quanto avviene (per effetto della legge Cirinnà, 76/2016) con il componente dell’unione civile.

In conseguenza di ciò, risulta illegittimo anche l’articolo 230-ter del Codice civile, che attribuisce al convivente more uxorio una tutela ingiustificatamente discriminata rispetto a quella riconosciuta ai familiari e al componente dell’unione civile.

L’articolo 230-bis disciplina l’impresa familiare riconoscendo al familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa una serie significativa di diritti. A questi fini, per familiari si intendevano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.

Con l’entrata in vigore della legge Cirinnà sulle unioni civili, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Per il convivente di fatto – inteso quale parte della coppia di maggiorenni uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale – la legge Cirinnà ha riconosciuto, attraverso l’introduzione dell’articolo 230-ter del Codice civile, una tutela più limitata.

Sia l’Inps (Circolare n. 66/2017) che l’Ispettorato del Lavoro (Parere Inl 879/2023) hanno affermato che, se il componente dell’unione civile può essere considerato come «familiare» ai fini dell’articolo 230-bis, così non accade nei confronti del convivente more uxorio, il quale, sebbene presti analoga attività lavorativa in modo continuativo presso l’impresa del convivente, non può essere inquadrato come collaboratore familiare.

Per i Giudici di cassazione, il trattamento differenziato è irragionevole e non può essere superato da una lettura estensiva delle disposizioni vigenti. Dello stesso parere anche la Corte costituzionale che nella pronuncia osserva che, seppur rimangano nel nostro ordinamento alcune differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, i diritti fondamentali devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni. E tale è il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione nel contesto di un’impresa familiare, il quale impone uguale tutela tra coniuge, componente dell’unione civile e convivente di fatto.

Riduzione contributiva nel settore dell’edilizia per l’anno 2024

Il Decreto Direttoriale 16 maggio 2024 del Ministero del lavoro conferma per l’anno 2024 la riduzione contributiva a favore delle imprese edili nella misura dell’11,50%.

La riduzione contributiva riguarda le assicurazioni sociali diverse da quella pensionistica e si applica ai soli operai occupati con un orario di lavoro di 40 ore settimanali. Dalla base di calcolo della riduzione contributiva sono escluse: la contribuzione di pertinenza del Fpld e la contribuzione integrativa versata unitamente al contributo di disoccupazione ma destinata alla formazione, pari allo 0,30 per cento. Inoltre, la base di calcolo dell’agevolazione deve essere ridotta delle eventuali misure compensative spettanti in caso di conferimento del Tfr a previdenza complementare o al Fondo di tesoreria Inps.

Si ricorda, inoltre, che non costituiscono attività edili in senso stretto – pertanto sono escluse dalla riduzione contributiva in oggetto – le opere di installazione di impianti elettrici, idraulici ed altri lavori simili.

Per la trasmissione telematica del modulo, si resta in attesa della Circolare operativa emanata dall’Istituto.

Chiusura feriale dello Studio

Vi ricordiamo che lo Studio rimarrà chiuso per ferie dal 14 al 18 agosto 2024 e riaprirà regolarmente da lunedì 19 agosto 2024.

Per urgenze si prega di mandare una mail all’indirizzo info@studionicco.it oppure lasciare un messaggio in segreteria, comunicando il proprio nominativo e un recapito telefonico.

L’invio della newsletter riprenderà regolarmente dal mese di settembre.

Buone vacanze!

Privacy e riconoscimento facciale: il Garante conferma il divieto al controllo illecito delle presenze

Nella Newsletter n. 525 del 26 giugno 2024, il Garante per la protezione dei dati personali, comunica di aver irrogato una sanzione di 120.000 euro a una concessionaria di veicoli che ha violato i dati personali dei dipendenti attraverso l’utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale per il controllo delle presenze sul posto di lavoro.

L’intervento dell’Autorità aveva avuto luogo a seguito di un reclamo sporto da parte di un dipendente, il quale lamentava il trattamento illecito di dati personali, attraverso un sistema biometrico installato presso le due unità produttive della società.

Il reclamo, evidenziava anche l’utilizzo di un software gestionale attraverso il quale, ogni dipendente doveva registrare gli interventi di riparazione svolti sui veicoli assegnati, i tempi e le modalità di esecuzione dei lavori, nonché i tempi di inattività con le specifiche causali.

A seguito dell’attività ispettiva del Garante – avvenuta in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza – sono state rilevate numerose violazioni del Regolamento europeo da parte della società.

Nello specifico e con riferimento al trattamento dei dati biometrici, il Garante ha ribadito nuovamente che l’utilizzo di tali dati non è consentito perché non esiste nessuna norma di legge che, al momento attuale, preveda l’utilizzo del dato biometrico per la rilevazione delle presenze. Pertanto, l’Autorità ha ricordato che neanche il consenso manifestato dai dipendenti può essere considerato idoneo presupposto di liceità, per l’asimmetria tra le rispettive parti del rapporto di lavoro.

L’Autorità, inoltre, ha accertato che la concessionaria raccoglieva – attraverso l’uso di un software gestionale – dati personali relativi alle attività dei dipendenti con la finalità di predisporre report mensili da inviare alla casa madre, contenenti dati aggregati sui tempi impiegati dalle officine per le lavorazioni effettuate.

Tutto ciò era messo in pratica senza un’idonea base giuridica e un’adeguata informativa che, nel contesto del rapporto di lavoro, è espressione del principio di correttezza e trasparenza. L’Autorità, oltre a sanzionare la società, le ha quindi ordinato di conformare il trattamento dei dati effettuato mediante il software gestionale alle disposizioni della normativa privacy.

Inps: aggiornata la procedura di presentazione delle domande di congedo parentale e congedo parentale a ore

La Legge di Bilancio 2024 dispone l’elevazione dal 30% all’80% della retribuzione dell’indennità di congedo parentale per un mese da fruire entro il sesto anno di vita del figlio (o entro i 6 anni dall’ingresso in famiglia del minore in caso di adozione o di affidamento e, comunque, non oltre il compimento della maggiore età) e l’elevazione dell’indennità di congedo parentale per un ulteriore mese dal 30% al 60% della retribuzione per la durata massima di un mese di congedo e fino al sesto anno di vita del bambino (o entro i 6 anni dall’ingresso in famiglia del minore in caso di adozione o di affidamento e, comunque, non oltre il compimento della maggiore età), elevata all’80% per il solo anno 2024.

Il Messaggio Inps n. 2704/2024 comunica l’avvenuta implementazione della procedura per l’acquisizione delle domande di congedo parentale e congedo parentale a ore dei lavoratori dipendenti, che permette di presentare la domanda con la richiesta di indennità maggiorata. Non è necessario presentare una nuova domanda per i periodi pregressi già indennizzati con le maggiorazioni normativamente previste.

Per procedere in tal senso, è necessario spuntare con “SI” la nuova dichiarazione “Dichiaro di voler richiedere l’indennizzo con aliquota maggiorata” inserita nella pagina “Dati domanda”.

Poiché la previsione secondo cui la nuova disposizione si applichi ai lavoratori che terminano il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità successivamente al 31 dicembre 2023, non è da considerarsi una condizione per il diritto all’elevazione dell’indennità di congedo parentale per un mese ulteriore, ma un termine iniziale di decorrenza della nuova disposizione, la procedura richiede di valorizzare la data relativa alla fine del congedo di maternità o di paternità (obbligatorio o alternativo) nel caso in cui la data del parto o la data di ingresso in famiglia per affidamento/adozione ricada nell’anno 2022. Nel caso in cui, invece, l’evento ricada nell’anno 2023, l’inserimento di almeno una delle suddette date, se successiva al 31 dicembre 2023, è necessaria per il diritto all’ulteriore mese con quota maggiorata al 60% (80% solo per l’anno 2024).

Infine, se l’evento nascita o l’ingresso in famiglia si verifica a partire dal 1° gennaio 2024, si applicano le disposizioni della legge di Bilancio 2024 e non è quindi necessario, ai fini del diritto alla fruizione dell’ulteriore mese della quota maggiorata al 60% (80% solo per l’anno 2024), l’accertamento relativo alla data di fine congedo di maternità o paternità (obbligatorio o alternativo).

Lo stesso criterio opera nel caso di figli nati a partire dal 1° gennaio 2023, così come previsto dalla legge di Bilancio 2023.

La procedura di acquisizione della domanda è stata modificata consentendo, attualmente, di presentare la domanda di congedo parentale per i soli periodi che iniziano non più tardi di due mesi rispetto alla data di presentazione della domanda stessa, al fine di garantire una maggiore efficienza amministrativa in quanto la definizione delle domande può seguire l’ordine cronologico di fruizione dei periodi, evitando sovrapposizioni nel tempo e richieste di modifiche o annullamento di periodi di congedo parentale richiesti e non fruiti.

L’implementazione effettuata non preclude la possibilità per il lavoratore di comunicare la necessità di fruire del congedo parentale con un maggiore preavviso al datore di lavoro. A tale proposito si rammenta, infatti, che il termine contenuto nell’articolo 32 del decreto legislativo n. 151/2001 prevede un preavviso minimo, non inferiore a 5 giorni (2 giorni per il congedo parentale fruito a ore), ma non esclude un preavviso superiore.

Sottoscritta l’ipotesi di accordo per il rinnovo del Ccnl Artigiani moda-chimica-ceramica

Il 16 luglio 2024, le associazioni di categoria (Confartigianato, CNA, Claai, Casartigiani, e le rappresentanze sindacali Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil) hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro del settore artigianato della chimica, della moda e della ceramica. L’intesa ha scadenza il 31 dicembre 2026.

Parte Economica

Gli aumenti saranno così suddivisi:

  • Area Moda: 172 euro sul terzo livello divisi in 4 tranche: luglio 2024 di 28 euro; gennaio 2025 di 40 euro; ottobre 2025 di 49 euro; ottobre 2026 di 55 euro.
  • Area Chimica-Gomma Plastica: 184 euro sul terzo livello divisi in 4 tranche: luglio 2024 di 28 euro, gennaio 2025 di 40, ottobre 2025 di 49 euro, ottobre 2026 di 67 euro.

Inoltre, è prevista l’erogazione di un importo una tantum a copertura del periodo di vacanza contrattuale di 110 euro divisa in 2 tranche: settembre 2024 di 55 euro e marzo 2025 di 55 euro.

Parte Normativa

Per quanto riguarda la parte normativa l’intesa sottoscritta prevede:

L’aumento del limite massimo del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia che passa da 21 a 24 mesi; inoltre, vengono introdotti ulteriori 90 giorni per lavoratori con disabilità certificata ex L. n°68/99;

L’accordo prevede l’istituzione della Commissione per la riforma dell’inquadramento, l’inserimento delle linee guida per il Lavoro Agile e la regolamentazione per l’attivazione della Banca Ore Solidali a tutela di comprovati e documentati casi di gravità e necessità;

In tema di contrasto alla violenza di genere viene recepito “l’accordo quadro europeo sulle molestie e le violenze nei luoghi di lavoro” e, in aggiunta a quanto previsto dalla normativa vigente, sarà previsto un mese retribuito al 60% a carico delle aziende per le lavoratrici inserite nei percorsi di protezione;

E’ previsto l’aumento a 6 euro degli scatti di anzianità per gli apprendisti e l’incremento della percentuale di maggiorazione prevista per l’attivazione degli accordi di flessibilità dal 10% al 12%.

Inail: la nuova campagna per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

L'”Avviso pubblico formazione e informazione 2024″ dell’Inail comunica la nuova campagna formativa e informativa nazionale riguardante la prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, volta a sensibilizzare – tra i vari soggetti –  datori e lavoratori ai rischi nuovi ed emergenti tramite il finanziamento di progetti di formazione e informazione.

Il progetto mette a disposizione 14 milioni di euro per realizzare ed erogare progetti integrati di formazione e informazione nell’ambito della prevenzione ai sensi degli artt. 9 e 10 del D. Lgs. n. 81/2008 e del disposto dell’art. 12 della legge n. 241/1990.

Nello specifico, è rivolto a progetti dedicati a:

  • Prevenzione dei rischi psicosociali;
  • Ruolo delle figure coinvolte nella prevenzione e tutela nei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO).
  • Cambiamenti climatici e alla sostenibilità ambientale e ai rischi della nuova mobilità, con un focus su spostamenti in itinere, trasporti e logistica.

Destinatari dei progetti sono i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS/RLST/RLSSP), responsabili e addetti dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP, ASPP), lavoratori, datori di lavoro e docenti/tutor interni ed esterni coinvolti nei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento.

I soggetti – singolarmente o aggregati – possono presentare una sola domanda di partecipazione all’Avviso per ogni ambito tematico. L’istanza deve essere inoltrata esclusivamente in modalità telematica tramite apposito sportello informatico, accedendo ai servizi online sul portale Inail, dove saranno indicate anche  le regole tecniche e le tempistiche.

Incidente con auto aziendale: dove arriva la responsabilità del datore di lavoro?

Se il lavoratore rimane coinvolto in un incidente stradale causato da una sua condotta contraria alle norme del Codice della Strada, il datore di lavoro non può essere considerato responsabile.

E’ il contenuto della Sentenza n. 23527/2021 della Corte di Cassazione Civile nei confronti del ricorso proposto da un lavoratore che ha subìto un incidente. Successivi controlli hanno accertato che il lavoratore aveva  superato i limiti di velocità consentiti e guidava dopo aver assunto sostanze stupefacenti. Il rischio elettivo (la condotta del lavoratore) che ha generato l’incidente esclude totalmente la responsabilità del datore di lavoro.

Come previsto dal TU sulla sicurezza, gli obblighi in capo al datore di lavoro sono riferiti alla corretta esecuzione della valutazione dei rischi legati all’utilizzo del mezzo – da considerarsi attrezzatura di lavoro –  e all’adozione delle necessarie misure di prevenzione e protezione (verifica del possesso della prescritta patente di guida, formazione, regolare manutenzione del mezzo, revisione, monitoraggio delle infrazioni commesse dai lavoratori durante la circolazione stradale, …).