Cassazione: ipotesi di audizione del lavoratore durante il procedimento disciplinare

In caso di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, nel caso specifico in cui quest’ultimo eserciti il proprio diritto di difesa chiedendo di essere sentito nei termini di legge, il datore di lavoro è obbligato all’audizione.

E’ il principio affermato dai Giudici della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 28369/2024. Il lavoratore ha diritto a essere sentito oralmente; tuttavia, non anche ad un differimento dell’incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare. Questo perché l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile.

 

Decreto bollette: proroga per i fringe benefit sugli autoveicoli

Il c.d. “Decreto bollette” (DL19/2025) contiene un pacchetto di emendamenti tra cui la conferma delle “vecchie” regole in vigore fino al 31 dicembre 2024 per i veicoli ordinati nel 2024 e concessi con contratti stipulati entro il 30 giugno 2025.
Nello specifico, resta ferma l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 51, c. 4, lett. a), del TUIR, nel testo vigente al 31 dicembre 2024:
  • per i veicoli concessi in uso promiscuo dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2024;
  • per i veicoli ordinati dai datori di lavoro entro il 31 dicembre 2024 e concessi in uso promiscuo dal 1° gennaio 2025 al 30 giugno 2025.
Per completezza di trattazione, riportiamo le modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2025, applicabili dal 1° gennaio 2025 ma prorogate dal decreto sopracitato, in base alle quali è possibile distinguere le seguenti situazioni:

A) Veicoli di nuova immatricolazione concessi in uso promiscuo con contratti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2025

Il valore del fringe benefit è determinato applicando all’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri, calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali dell’ACI (al netto degli importi eventualmente trattenuti o corrisposti dal dipendente) le seguenti percentuali:

  • 10% per i veicoli a trazione esclusivamente elettrica a batteria;
  • 20% per i veicoli elettrici ibridi plug in;
  • 50% per i veicoli diversi dai precedenti.
B) Veicoli di nuova immatricolazione concessi in uso promiscuo con contratti stipulati dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2024.
Il valore del fringe benefit è determinato applicando all’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri, calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali dell’ACI (al netto degli importi eventualmente trattenuti o corrisposti dal dipendente) le seguenti percentuali:
  • 25% per i veicoli con valori di emissione di CO2 non superiori a 60 g/km;
  • 30% per i veicoli con emissioni di CO2 superiori a 60 g/km e fino a 160 g/km;
  • 50% dal 2021 per i veicoli con emissioni di CO2 superiori a 160 g/km e fino a 190 g/km;
  • 60% dal 2021 per i veicoli con emissioni di CO2 superiori a 190 g/km.
C) Veicoli di nuova immatricolazione concessi in uso promiscuo con contratti stipulati prima del 1° luglio 2020
Il valore del fringe benefit è determinato applicando all’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri, calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali dell’ACI (al netto degli importi eventualmente trattenuti o corrisposti dal dipendente), la percentuale del 30%.

Patto di non concorrenza in costanza di rapporto: ultimi orientamenti della Cassazione

È considerato legittimo il pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza in corso di rapporto di lavoro, se questo innanzitutto risulta determinato (o determinabile) come stabilito dall’articolo 1346 del Codice civile e che, successivamente, non sia «simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore», costituendo in tale ipotesi causa di nullità della clausola per violazione dell’articolo 2125 del Codice civile.

E’ il contenuto delle ordinanze 9256/2025 e 9258/2025 della Corte di Cassazione, in tema di contenziosi in cui la banca datrice di lavoro lamentava l’inadempimento alle obbligazioni derivanti dal vincolo pattizio da parte di ex dipendenti, i quali a loro volta avevano eccepito la nullità della clausola di non concorrenza per l’asserita inadeguatezza del corrispettivo.

La Suprema Corte opera una distinzione concettuale tra nullità per indeterminatezza e nullità per incongruità del compenso, che – contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito – rappresentano ipotesi autonome e richiedono verifiche distinte e puntuali, da compiersi alla luce delle circostanze del caso concreto.

Il patto di non concorrenza, infatti, seppur inserito nel contesto del contratto di lavoro subordinato, costituisce un atto negoziale autonomo e deve essere valutato secondo criteri propri. Per determinarne la validità con specifico riferimento al relativo corrispettivo è necessario che lo stesso possegga i requisiti generali di determinatezza o determinabilità previsti dall’articolo 1346 del Codice civile, non rilevando se questo sia erogato in costanza di rapporto, al termine o dopo la cessazione.

Una volta accertata la determinatezza o determinabilità, il corrispettivo deve essere valutato sotto il profilo della concreta idoneità compensativa, commisurata all’estensione del vincolo, per escludere che sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato.

Sulla base di tali presupposti, è possibile escludere che il patto di non concorrenza possa essere ritenuto invalido in via astratta, sulla base di criteri presuntivi e senza operare idonea distinzione tra i due vizi di nullità. Né è ammissibile una parziale conservazione della clausola, trattandosi in ogni caso di ipotesi di nullità che travolgono l’intero patto.

Bonus Donne

Pubblicato il Decreto attuativo relativo all’esonero contributivo c.d. Bonus Donne.

Di seguito i principali contenuti.

E’ riconosciuto, per un periodo massimo di ventiquattro mesi, un esonero contributivo ai datori di lavoro privati che, dal 1° settembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025, assumono con contratto a tempo indeterminato donne prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi, ovunque residenti;

Il medesimo esonero spetta ai datori di lavoro privati che, a decorrere dalla data di autorizzazione della misura da parte della Commissione europea e fino al 31 dicembre 2025, assumono con contratto a tempo indeterminato donne prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, residenti nelle regioni della Zona Economica Speciale unica per il Mezzogiorno, ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea;

Ai datori di lavoro privati che, a decorrere dal 1° settembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025, assumono con contratto a tempo indeterminato donne occupate nelle professioni o settori di cui all’articolo 2, punto 4), lettera f), del Regolamento (UE) n. 2014/651, annualmente individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’esonero spetta per un periodo massimo di dodici mesi;

Sono esclusi dall’applicazione del beneficio i rapporti di lavoro domestico e i rapporti di apprendistato. L’esonero in questione non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, ma è compatibile, senza alcuna riduzione, con la maggiorazione del costo ammesso in deduzione, in presenza di nuove assunzioni;

Le assunzioni di cui all’articolo 2 devono comportare un incremento occupazionale netto calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori occupati rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei dodici mesi precedenti;

L’esonero contributivo spetta ai datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l’assunzione, non hanno proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore assunto con l’esonero di cui al presente decreto o di un lavoratore impiegato con la stessa qualifica nella medesima unità operativa o produttiva del primo, se effettuato nei sei mesi successivi all’assunzione incentivata, comporta la revoca dell’esonero e il recupero del beneficio già fruito;

Ai fini della fruizione dell’esonero deve essere inoltrata, esclusivamente in via telematica, domanda all’Inps nei modi e termini fissati dall’Istituto medesimo con apposite istruzioni.

INL: chiarimenti sulle anticipazioni del Tfr

La nota prot. 616 del 3 aprile 2025 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce agli ispettori alcuni chiarimenti in merito alla legittimità della prassi di anticipo mensile del TFR in busta paga.

Nello specifico, i quesiti affrontati nel documento sono:

L’anticipazione del TFR, effettuata oltre il termine del regime sperimentale individuato dalla Legge n. 190/2014 (limitato ai periodi di paga decorrenti dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018), è consentita nei soli casi espressamente previsti dall’art. 2120 c.c. e un’anticipazione fuori dalle ipotesi contemplate dalla norma deve essere considerata illegittima?

Il trattamento di fine rapporto (TFR) rappresenta una somma di denaro che viene accumulata mensilmente dal datore di lavoro, per conto del dipendente, allo scopo di assicurare un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.

L’istituto è disciplinato dall’art. 2120 c.c. che, nei primi cinque commi individua i criteri di calcolo del TFR e, nei commi successivi, disciplina le condizioni in presenza delle quali – su richiesta del lavoratore – si applica il diverso istituto dell’anticipazione del trattamento di fine rapporto.

L’ultimo comma dello stesso articolo demanda alla contrattazione collettiva o ai patti individuali l’introduzione di condizioni di miglior favore relative all’accoglimento delle richieste di anticipazione. In mancanza di ciò, l’erogazione monetaria non può che qualificarsi quale maggiore retribuzione assoggettata all’obbligazione contributiva, come chiarito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 4670 del 22 febbraio 2021.

In virtù della collocazione sistematica del rimando operato dal decimo comma dell’art. 2120 c.c., che si pone al termine della disciplina delle anticipazioni del TFR, è tuttavia da ritenere che la pattuizione collettiva o individuale possa avere ad oggetto un’anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione e non un mero automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile che, a questo punto, costituirebbe una mera integrazione retributiva con conseguenti ricadute anche sul piano contributivo. Tale operazione, peraltro, sembrerebbe contrastare con la stessa ratio dell’istituto che, come detto, è quella di assicurare al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.

Quali sono le conseguenze sotto il profilo ispettivo derivanti dal disconoscimento delle somme erogate quali ratei di TFR?

Laddove si ravvisino le descritte ipotesi di anticipazione, il personale ispettivo dovrà intimare al datore di lavoro di accantonare le quote di TFR illegittimamente anticipate attraverso l’adozione del provvedimento di disposizione di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 124 del 2004.

Bonus assunzione giovani Under 35

Sottoscritto il Decreto attuativo riguardante l’agevolazione per l’assunzione/trasformazione di lavoratori Under 36.

Di seguito le principali caratteristiche:

Ai datori di lavoro privati che assumono personale non dirigenziale con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o effettuano la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato è riconosciuto un esonero contributivo, per un periodo massimo di ventiquattro mesi;

L’agevolazione riguarda le assunzioni/trasformazioni intervenute dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025;

L’ammontare dell’agevolazione è pari al 100% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail, nel limite massimo di importo pari a 500 euro su base mensile per ciascun lavoratore e, comunque, nei limiti della spesa autorizzata e nel rispetto delle procedure, dei vincoli territoriali e dei criteri di ammissibilità previsti dal Programma nazionale giovani, donne e lavoro 2021 – 2027, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche;

Ai datori di lavoro che assumono lavoratori con sede di lavoro effettiva (presso la quale il lavoratore è tenuto a prestare fisicamente servizio) ubicata nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, l’esonero spetta nel limite massimo di importo pari a 650 euro su base mensile per ciascun lavoratore e, comunque, nei limiti della spesa autorizzata e nel rispetto delle procedure, dei vincoli territoriali e dei criteri di ammissibilità previsti dal Programma nazionale giovani, donne e lavoro 2021 – 2027. L’ammontare dell’agevolazione non può in ogni caso superare il 50% dei costi salariali, così come definiti al punto 31 dell’articolo 2 del Regolamento (UE) n. 651/2014;

L’esonero spetta con riferimento all’assunzione dei soggetti che, alla data dell’evento incentivato, non hanno compiuto il trentacinquesimo anno di età e non sono stati mai occupati a tempo indeterminato. L’esonero spetta anche nei casi di precedente assunzione con contratto di
lavoro di apprendistato non proseguito come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

L’esonero spetta, altresì, con riferimento ai soggetti che alla data dell’assunzione incentivata sono stati occupati a tempo indeterminato, in precedenza, presso un datore di lavoro che ha beneficiato parzialmente dell’esonero medesimo;

Sono esclusi dall’applicazione del beneficio i rapporti di lavoro domestico e i rapporti di apprendistato. L’esonero non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente; risulta invece compatibile, senza alcuna riduzione, con la maggiorazione del costo ammesso in deduzione in presenza di nuove assunzioni;

l’esonero contributivo spetta ai datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l’assunzione, non hanno proceduto a licenziamenti individuali per
giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi nella medesima unità operativa o produttiva;

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore assunto con l’esonero di cui al presente decreto o di un lavoratore impiegato con la stessa qualifica nella medesima unità operativa o produttiva del primo, se effettuato nei sei mesi successivi all’assunzione incentivata, comporta la revoca dell’esonero e il recupero del beneficio già fruito;

Ai fini della fruizione dell’esonero deve essere inoltrata domanda all’Inps, esclusivamente in via telematica, nei modi e termini indicati dall’Istituto medesimo con apposite istruzioni.

Cassazione: annullabile il contratto di apprendistato senza formazione

Nel contratto di apprendistato, la mancata o carente formazione dell’apprendista può determinare la nullità del contratto per mancanza di causa, con una serie di rilevanti conseguenze pratiche tra le quali  la trasformazione del rapporto, sin dalla sua instaurazione, in un contratto di lavoro a tempo indeterminato dalla quale deriva, come ulteriore conseguenza, il riconoscimento al lavoratore del trattamento giuridico ed economico previsto dagli accordi collettivi per tale fattispecie contrattuale, a partire dalla data di avvio del rapporto di lavoro.

E’ il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 6990/2025 nella quale i Giudici evidenziano che, nonostante oggi il regime della forma sia stato reso più flessibile rispetto al passato grazie alla previsione della forma scritta ai soli fini della prova, il requisito causale non viene in alcun modo indebolito.

Da questo punto di vista, non è sufficiente limitarsi ad erogare la formazione, ma è necessario anche bilanciare l’esigenza formativa e l’addestramento tecnico-pratico. Pertanto, il datore di lavoro deve redigere il piano formativo  in forma scritta ai fini della prova, anche con l’obiettivo di garantire al lavoratore l’acquisizione di competenze e professionalità specifiche; ed è tenuto a corrispondere all’apprendista sia la retribuzione, sia la formazione utile per fargli acquisire una specifica qualificazione professionale.

La mancata formazione fa venir meno la causa tipica che qualifica il contratto di apprendistato, con tutte le conseguenze sopra enunciate.

Agenzia delle Entrate: conversione dell’MBO in welfare e detassazione

Nell’ambito del welfare aziendale, i benefit corrisposti ai dipendenti facenti parte di un sistema di incentivi legato al raggiungimento di determinate performance non danno diritto alle agevolazioni fiscali previste dall’articolo 51 del Tuir, se sono destinati a un gruppo ristretto di lavoratori scelti individualmente e non alla generalità o a categorie ben definite di dipendenti.

Pertanto la tassazione di tali benefici, concessi in cambio di premi di risultato, deve essere determinata applicando le normali regole per il reddito da lavoro dipendente.

E’ il contenuto della Risposta n. 77 del 20/03/2025 dell’Agenzia delle entrate la quale evidenzia che, in via generale, costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

La richiesta di parere è stata formulata all’Agenzia da parte di una società operante nel settore energetico, la quale vuole sapere se una parte della retribuzione variabile (Mbo) che il dipendente può convertire in prestazioni di welfare, legata al raggiungimento di obiettivi aziendali e collettivi, possa essere esclusa dalla tassazione. La società evidenzia che, attualmente, l’intero Mbo è tassato ordinariamente, ma ritiene che la parte destinata al welfare possa essere detassata, se collegata agli obiettivi aziendali. Resterebbero invece tassati normalmente i benefit legati a obiettivi individuali.

In prima istanza, l’Agenzia ricorda che l’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir) stabilisce che qualsiasi somma o valore ricevuto da un lavoratore, a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi forma durante il periodo di imposta, debba essere considerato reddito di lavoro dipendente e quindi è soggetto a tassazione, sulla base del principio di onnicomprensività.

Tuttavia, lo stesso articolo 51 prevede alcune deroghe, specificando i casi in cui determinate somme o benefici non sono tassati o lo sono solo parzialmente. Tali esenzioni si applicano a specifici beni, servizi o rimborsi spese, a condizione che non vengano utilizzati per aggirare ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente, in violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione.

Come già chiarito in precedenza nella risoluzione n. 55/E del 2020, se un’azienda offre dei benefit che sono legati alla performance lavorativa del dipendente, come incentivi per obiettivi raggiunti, questi benefit non possono usufruire dell’agevolazione fiscale. Per converso, se un beneficio non ha scopo retributivo e viene corrisposto senza legarlo direttamente a un risultato di performance, potrebbe rientrare nelle esenzioni previste dalla legge.

L’Agenzia ripercorre la disciplina agevolativa sui premi di risultato prevista dall’articolo 1, commi da 182 a 190, della legge di Stabilità 2016, il quale prevede che i premi di risultato legati a specifici obiettivi (come incremento di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base di criteri definiti) e le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa possono essere tassati con un’imposta sostitutiva del 10%, fino a un limite di 3mila euro lordi, purché rispettino determinati criteri.

La norma fa comunque salva la detassazione dei benefit stabilita dall’articolo 51, comma 2 e 3, ultimo periodo del Tuir nel caso essi siano fruiti in sostituzione delle somme di cui al comma 182 o dei premi di risultato e degli utili, altrimenti soggetti all’imposta sostitutiva. La disposizione agevolativa, evidenzia l’Agenzia, non trova applicazione nel caso di conversione tra remunerazione monetaria e benefit prevista al di fuori delle condizioni stabilite per l’applicazione dell’imposta sostitutiva di cui al comma 182 della legge di Stabilità 2016.

Tornando a quanto stabilito dall’articolo 51 del Tuir, come evidenziato in apertura, la normativa prevede che i benefit debbano essere destinati alla generalità di dipendenti o a categorie di dipendenti ben definite, ma non a un gruppo ristretto di lavoratori scelti individualmente. Se tali benefit sono rivolti soltanto a una ristretta fascia di dipendenti, non possono essere considerati come welfare aziendale esente da tassazione, concorrendo quindi alla formazione della base imponibile.

Nel caso oggetto d’interpello, le prestazioni di welfare che la società intende erogare fanno parte integrante di un sistema premiale incentivante che prevede l’erogazione di specifici premi al raggiungimento di determinati obiettivi, di carattere collettivo o individuale, convertibili, a scelta del dipendente, in alcune tipologie di benefit. La finalità di tale sistema appare chiaramente quella di incentivare la performance, più che la fidelizzazione del lavoratore dipendente all’azienda.

Nello specifico, non è possibile applicare le disposizioni che ne consentono la detassazione perché  i benefici sono destinati solo a una parte limitata dei dipendenti, non alla totalità o a categorie generiche di lavoratori. L’espressione categorie di dipendenti utilizzata dal legislatore non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, operai, eccetera), ma a tutti i dipendenti di un certo ”tipo” o di un certo ”livello” o ”qualifica” (per es: gli operai addetti al turno notturno).

In sostanza, il sistema descritto dalla società non soddisfa i requisiti per beneficiare dell’esclusione dal reddito di lavoro dipendente , poiché  i soggetti destinatari sono dipendenti ”individuati” dalla società per essere assoggettati a valutazione della performance che possono, a determinate condizioni, convertire parte del premio di risultato in welfare aziendale.

Le disposizioni agevolative, derogatorie del principio di onnicomprensività, non sono estensibili a fattispecie diverse da quelle previste normativamente, tra le quali non è compresa l’ipotesi di applicazione in sostituzione di retribuzioni, altrimenti imponibili, in base ad una scelta dei soggetti interessati. Non è prevista, quindi, la possibilità di ridurre i redditi imponibili fino al loro completo abbattimento, in ragione della tipologia di retribuzione (in denaro o in natura) scelta dai soggetti interessati.

Pertanto, conclude l’Agenzia, la tassazione dei benefici concessi in cambio di premi di risultato deve seguire i normali criteri di tassazione relativi al reddito da lavoro dipendente.

Tribunale di Milano: legittimo il trasferimento della dipendente che denuncia mobbing e straining.

La lavoratrice che ha promosso una causa di lavoro contro il datore per mobbing e straining, lamentando un peggioramento dello stato di salute per le vessazioni che ha dedotto di aver subito, può essere legittimamente trasferita per incompatibilità ambientale della stessa. Nella fattispecie, il cambio della sede di lavoro non costituisce un comportamento ritorsivo, ma una misura organizzativa necessaria per proteggere la salute della lavoratrice e salvaguardare, al contempo, il buon funzionamento dell’ufficio e l’integrità dei colleghi.

Questo è il principio contenuto nella Sentenza 581/2025 del Tribunale di Milano per una controversia promossa dalla dipendente di un istituto di credito che lamentava di essere stata spostata di sede quale ritorsione per una precedente azione giudiziale promossa per il diritto a un inquadramento superiore e per il risarcimento dei danni subiti per le azioni persecutorie da parte dei superiori in azienda. Il datore si era difeso affermando che l’assegnazione ad altra sede era avvenuta per incompatibilità ambientale, di cui si aveva evidenza alla luce delle denunciate condotte ritorsive e mortificanti e degli effetti pregiudizievoli per la salute lamentati dalla dipendente.

Il Giudice conferma che il trasferimento non costituisce condotta discriminatoria, ma piuttosto una misura necessaria per rimuovere le ricadute dell’insorta incompatibilità ambientale e che rimuove le condizioni che possono pregiudicare la salute e la integrità morale della persona che si assume offesa.

Cassazione: responsabilità del datore di lavoro se non inserisce nel DVR i macchinari vietati

La sentenza n. 45400/2024 della quarta sezione penale della Corte di Cassazione si esprime in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e responsabilità del datore di lavoro.

Nello specifico, afferma che sussiste una responsabilità penale del datore di lavoro a titolo di lesione personale colposa nel caso in cui un lavoratore, per accelerare le prestazioni, utilizzi un macchinario vietato nel DVR. Questo perché nell’ex art. 28, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2008 sussiste l’obbligo del datore di lavoro di valutare il rischio anche nella scelta delle attrezzature da lavoro, nonché nella sistemazione del luogo di lavoro. Tale valutazione deve riguardare tutti i rischi per la salute e la sicurezza.