Patente a crediti per l’accesso ai cantieri – al via l’operatività dal 1° ottobre

A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 221 del 20.09.2024) del decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 18 settembre 2024 n. 132 e della successiva pubblicazione da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro della circolare n. 4 del 23.09.2024, prende definitivamente avvio la patente a crediti.

Con la circolare di studio n. 63 – reperibile al seguente link – abbiamo analizzato i soggetti interessati, i requisiti per il rilascio, le modalità operative e le tempistiche e, soprattutto, la fase transitoria in vigore fino al 31 ottobre, demandando l’analisi degli ulteriori punti alla circolare dell’INL.

Merita ricordare che:

  • Il portale per effettuare la richiesta di rilascio della patente a crediti sarà attivo dal 1° ottobre p.v..
  • In fase di prima applicazione dell’obbligo del possesso della patente e sin dal momento della pubblicazione della presente circolare è comunque possibile presentare, utilizzando il modello allegato alla circolare, una autocertificazione/dichiarazione sostitutiva concernente il possesso dei requisiti richiesti dall’art. 27, comma 1, del decreto legislativo 09 aprile 2008, n. 81, laddove richiesti dalla normativa vigente. L’invio della autocertificazione/dichiarazione sostitutiva dovrà essere effettuato, tramite PEC, all’indirizzo dichiarazionepatente@pec.ispettorato.gov.it.
  • Si precisa che la trasmissione della autocertificazione/dichiarazione sostitutiva inviata mediante PEC ha efficacia fino alla data del 31 ottobre 2024 e vincola l’operatore a presentare la domanda per il rilascio della patente mediante il portale dell’Ispettorato nazionale del lavoro entro la medesima data.

Allegati alla circolare di studio, sono presenti anche:

  • il Decreto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 132 del 18.09.2024;
  • la Circolare INL n. 4/2024;
  • l’Autocertificazione/dichiarazione sostitutiva per il rilascio della patente a crediti.

In base all’art.1, comma 2, del DM n. 132/2024, la patente a crediti è obbligatoria per “le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui all’articolo 89, comma 1, lettera a), ad esclusione di coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale”, intendendo, quindi, l’elenco di cui all’allegato X del D.Lgs. n. 81/2008:

  1. I lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le parti strutturali delle linee elettriche e le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro;
  2. Sono, inoltre, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile.

Cassazione: il datore di lavoro non può trattenere i costi di gestione connessi alla cessione del quinto

La Corte di Cassazione – nella sentenza 22362/2024 – ha affermato che il datore di lavoro non può trattenere dalla busta paga del dipendente un importo a copertura dei costi di gestione amministrativi della cessione del quinto dello stipendio attivata dal lavoratore, a meno che sia dimostrata l’eccessiva gravosità dell’adempimento amministrativo, condannando il datore di lavoro a restituire ai dipendenti le somme trattenute in busta paga quale ristoro del costo di gestione amministrativa della cessione del quinto dello stipendio.

La società ricorrente ha evidenziato il sorgere di una c.d. doppia obbligazione (il pagamento della retribuzione e quello della cessione del quinto) comporta un aumento dei costi che non possono considerarsi quali normali operazioni connesse al rapporto di lavoro; pertanto, non di competenza esclusiva datoriale, ma connesse a una libera scelta del lavoratore per esigenze personali.

Secondo i giudici di legittimità, la cessione del quinto non richiede il consenso dell’azienda (debitore ceduto) per la quale «è normalmente irrilevante chi sia il soggetto destinatario del pagamento». Tuttavia, la decisione dello sdoppiamento del creditore non deve risultare «in concreto, eccessivamente gravosa […] ossia deve rispettare i limiti di correttezza e buona fede», limiti che riguardano «soltanto il profilo del pagamento, ossia dell’adempimento».

Inoltre – sempre secondo la Cassazione – la cessione del credito consente di soddisfare esigenze del dipendente che «non sono assolutamente estranee al rapporto di lavoro […] ma sono radicate in esso […] e ciò per effetto del riconoscimento normativo di un diritto potestativo del lavoratore ad ottenere finanziamenti mediate la cessione fino a un quinto dello stipendio».

L’onere amministrativo a carico del datore di lavoro deve essere valutato tenendo conto delle dimensioni dell’impresa che, in base al numero di dipendenti, è tenuta ad avere una struttura amministrativa corrispondente alla sua dimensione, anche con riferimento a quanto previsto dall’articolo 2086 del Codice civile, secondo cui l’imprenditore operante in forma societaria o collettiva ha «il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa».

Ne consegue che, se l’onere risultasse effettivamente insopportabile per l’azienda, sarebbe possibile prevedere un accordo a tre, in base al quale i costi vengono sopportati dalla società che eroga il finanziamento.

Affitto non regolare ai lavoratori immigrati stagionali: le sanzioni arrivano fino a 5.500 euro

Se il datore di lavoro affitta un alloggio senza idoneità o a canone eccessivo a lavoratori immigrati stagionali, rischia una sanzione fino a 5.500 euro.

E’ la previsione dell’articolo 24, comma 3 del Testo Unico sull’Immigrazione (Dlgs 286/1998), il quale afferma che il canone non può essere eccessivo rispetto alla qualità dell’alloggio e alla retribuzione e comunque non può essere superiore a un terzo di quest’ultima.

L’Italia, insieme ad altri Stati membri dell’unione, è stato destinataria di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea nella aprile 2023 perché non aveva recepito pienamente la direttiva 2014/36/Ue sui lavoratori stagionali che mira a garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose, pari diritti e una sufficiente protezione dallo sfruttamento, per l’ammissione nell’Ue dei lavoratori stagionali stranieri.

In conseguenza di ciò, è stata inserita una specifica previsione secondo la quale «il datore di lavoro che, in violazione del comma 3, mette a disposizione del lavoratore straniero un alloggio privo di idoneità alloggiativa o a un canone eccessivo, rispetto alla qualità dell’alloggio e alla retribuzione, ovvero trattiene l’importo del canone direttamente dalla retribuzione del lavoratore, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 350 a 5.500 euro per ciascun lavoratore straniero. Il canone è sempre eccessivo quando è superiore ad un terzo della retribuzione.».

La direttiva 2014/36/Ue è stata recepita nel nostro ordinamento con il Dlgs 203/2016 che ha riscritto integralmente l’articolo 24 del Testo unico immigrazione, già indicando gli obblighi che il datore di lavoro deve rispettare. Nell’articolo 24, comma 3, viene previsto l’obbligo del datore di lavoro che fornisca l’alloggio al lavoratore, di esibire al momento della sottoscrizione del contratto di soggiorno il titolo atto a dimostrare l’effettiva disponibilità dell’abitazione, le condizioni a cui è sottoposto il lavoratore per usufruirne e la sussistenza dei requisiti di idoneità alloggiativa. Qualora sia previsto un canone di locazione esso dovrà essere proporzionato sia alla qualità della sistemazione alloggiativa, sia ai trattamenti retributivi riservati al lavoratore: l’importo del canone di locazione non potrà, comunque, superare un terzo dell’importo della retribuzione, né essere detratto automaticamente dai compensi dovuti al lavoratore.

Rinnovato il Ccnl per il settore Moda Tessile/Chimica – Ceramica Concia artigiano

In data 16 luglio 2024 è stato sottoscritto dalle parti sociali (CNA Federmoda, CNA Produzione, Cna artistico e tradizionale, Cna servizi alla comunità, Confartigianato moda, Confartigianato chimica, Confartigianato ceramica, Casartigiani, Claai con Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil ) il nuovo testo del Ccnl per i dipendenti dalle aziende artigiane dei settori tessile, abbigliamento, calzaturiero, pulitinto lavanderia e occhialeria e dalle aziende artigiane dei settori della chimica, gomma, plastica, vetro e ceramica, nonché il relativo accordo integrativo 22 luglio 2024 per il rinnovo del CCNL. L’accordo decorre dal 1° gennaio 2023 e scadrà il 31 dicembre 2026.

Vediamo, di seguito, le principali novità:

  • Il campo di applicazione è stato esteso al settore conciario;
  • L’accordo riguarda i dipendenti dalle aziende artigiane dei settori tessile, abbigliamento, calzaturiero, pulitintolavanderia e occhialeria e dalle aziende artigiane dei settori della chimica;
  • È prevista un’erogazione di un importo una tantum per i lavoratori in forza alla data di sottoscrizione dell’accordo, a copertura del periodo di carenza contrattuale;
  • L’accordo fissa, a decorrere dal 1° luglio 2024, i minimi retributivi previsti per i settori chimica, gomma plastica e vetro e per le aziende della concia;
  • Il testo definisce gli importi degli scatti per i settori chimica, concia, gomma plastica e vetro;
  • Viene introdotta la classificazione per il settore conciario;
  • Viene riformulata la durata massima del periodo di prova per i vari settori e livelli;
  • La maggiorazione per le ore prestate oltre l’orario contrattuale viene aumentata;
  • Malattia: viene Modificata la disciplina del comporto per malattia, con estensioni per lavoratori con disabilità e patologie oncologiche;
  • Sono stati modificati i periodi di preavviso per licenziamento e dimissioni nei vari settori;
  • Anche la disciplina dell’apprendistato subisce delle modifiche (ad esempio sulla durata, sospensioni, retribuzione e scatti di anzianità);
  • Viene introdotta la disciplina del lavoro agile.

Patente a punti per l’accesso i cantieri: uno sguardo alle novità, in attesa dell’entrata in vigore

Il 1° ottobre 2024 dovrebbe entrare in vigore la “patente a punti”, necessaria a imprese e lavoratori autonomi per operare nei cantieri edili mobili e temporanei.

In attesa della pubblicazione definitiva, il Consiglio di Stato ha promosso lo schema di decreto sulle modalità operative della patente a crediti nei cantieri, chiedendo però che le Autorità di controllo abbiano maggiore autonomia sui provvedimenti di sospensione.

Vediamo di seguito le principali caratteristiche.

Requisiti

La patente sarà rilasciata in formato digitale dall’Ispettorato del lavoro in presenza dei seguenti requisiti che possono anche essere autocertificati:

  • iscrizione alla CCIAA;
  • adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi formativi;
  • possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità;
  • possesso del documento di valutazione dei rischi, nei casi previsti dalla normativa vigente;
  • possesso della certificazione di regolarità fiscale, di cui all’art. 17-bis, commi 5 e 6, del D.Lgs. n. 241/1997, nei casi previsti dalla normativa vigente;
  • avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nei casi previsti dalla normativa vigente.

In caso di dichiarazione non veritiera, la patente sarà revocata per un anno.

Esclusioni

La patente non sarà necessaria per coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale e non sarà richiesta alle imprese in possesso dell’attestato di qualificazione SOA in classifica pari o superiore alla III.

Inoltre, per le imprese e i lavoratori autonomi stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia o in uno Stato non appartenente all’Unione europea è sufficiente il possesso di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità del Paese d’origine e, nel caso di Stato non appartenente all’Unione europea, riconosciuto secondo la legge italiana.

Il sistema di decurtazione dei punti

Il punteggio iniziale è pari a 30 punti; sono previste decurtazioni dei crediti previste in caso di infortuni gravi a danno dei lavoratori.

Nello specifico, per infortunio del lavoratore che comporti un’inabilità temporanea assoluta con l’astensione dal lavoro per più di 60 giorni (40 giorni nel testo attualmente in vigore), i punti sono ridotti da 10 a 5. Se l’infortunio comporta inabilità permanente al lavoro parziale i punti sono ridotti a 8, mentre restano 15 per l’inabilità permanente al lavoro assoluta (nel testo attualmente in vigore queste due fattispecie sono considerate insieme ed è prevista una decurtazione di 15 punti).

L’emendamento abolisce la possibilità di reintegrare i crediti decurtati a seguito della frequenza di appositi corsi di formazione.

I criteri per le modalità di recupero dei crediti decurtati saranno demandati ad un successivo decreto del ministero del lavoro, sentito l’Ispettorato nazionale del lavoro.

Infine, si evidenzia che la patente con punteggio inferiore a 15 crediti non consente alle imprese e ai lavoratori autonomi di operare nei cantieri, ma viene precisato che è consentito il completamento delle attività oggetto di appalto o subappalto in corso di esecuzione, quando i lavori eseguiti sono superiori al 30% del valore del contratto.

Sanzioni amministrative

Le sanzioni amministrative variano qualora si operi senza patente o con meno di 15 crediti.

In particolare, l’emendamento stabilisce che, in mancanza della patente o del documento equivalente per le imprese e i lavoratori autonomi stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia o in uno Stato non appartenente all’Unione europea o si operi con una patente con un punteggio inferiore a 15 crediti, si applica una sanzione amministrativa pari al 10% del valore dei lavori e, comunque, non inferiore a 6.000 euro.

Insieme alla sanzione pecuniaria, potrà essere disposta l’esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici di cui al D.Lgs. n. 36/2023 per un periodo di 6 mesi.

Obblighi per il committente o del responsabile dei lavori

Viene introdotto l’obbligo per il committente o il responsabile dei lavori di verificare il possesso della patente a punti o del documento equivalente per le imprese e i lavoratori autonomi stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia o in uno Stato non appartenente all’Unione europea da parte delle imprese esecutrici o dei lavoratori autonomi, anche nei casi di subappalto.

Se l’impresa non è tenuta al possesso della patente ai sensi dell’art. 27, comma 8, D.Lgs. n. 81/2008, il committente o il responsabile dei lavori dovrà accertarsi del possesso dell’attestato di qualificazione SOA.

Questi dovranno, inoltre, trasmettere all’amministrazione concedente una dichiarazione attestante l’avvenuta verifica del possesso di tale documentazione.

In caso di violazione della verifica del possesso della patente a crediti dell’impresa o del lavoratore autonomo o in caso di mancata trasmissione della dichiarazione di avvenuta verifica all’amministrazione concedente, è prevista, per il committente o il responsabile dei lavori la sanzione amministrativa pecuniaria da 711,92 a 2.562,91 euro (art. 157, D.Lgs. n. 81/2008).

Cassazione: è nullo il licenziamento ritorsivo mascherato con presunta crisi aziendale

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che, in realtà, sottende il rifiuto del lavoratore alla proposta di trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo parziale a pieno (o viceversa), è da considerare come ritorsivo e, pertanto, rientra tra le fattispecie di nullità che portano tutela reintegratoria.

E’ il contenuto dell’Ordinanza n. 18547/2024 della Corte di Cassazione. Nel caso in esame, un lavoratore – nei cui confronti era stato avviato un procedimento disciplinare per essersi opposto alla trasformazione del rapporto in uno a tempo parziale – era stato, successivamente, licenziato per giustificato motivo oggettivo per crisi aziendale.

La Corte di appello – riformando la sentenza del Giudice di primo grado – aveva annullato il licenziamento, con ordine di reintegrazione del lavoratore, ritenendo insussistente. La Corte di cassazione chiarisce che la pronuncia della Corte di merito non sanziona con la nullità un licenziamento intimato a seguito del rifiuto del part time, ma un licenziamento formalmente per giustificato  motivo oggettivo motivato da inesistenti e strumentali ragioni riferite ad una crisi aziendale, cui era sotteso l’intento di reagire al legittimo rifiuto del part time.

La differenza tra le due fattispecie risiede nel fatto che, mentre il licenziamento motivato dal rifiuto del dipendente della trasformazione del rapporto di lavoro va ritenuto ingiustificato, quello intimato a seguito di tale rifiuto e dubbiamente giustificato da una crisi aziendale insussistente è da considerarsi ritorsivo in quanto,  nel tentativo di eludere quanto previsto dall’articolo 8 del D.Lgs. 81/2015,  cela dietro un’asserita crisi, una ingiusta ed arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore, che attribuisce al licenziamento il connotato della vendetta.

Ne consegue che, al licenziamento ritorsivo si applica la tutela reintegratoria prevista dall’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, avendo la Corte Costituzionale (con la sentenza 22/2024) definitivamente escluso, quanto al regime del licenziamento nullo, la distinzione tra nullità espresse e nullità che tali non sono, fugando ogni residuo dubbio in proposito.

Corte Costituzionale: nell’impresa familiare anche il convivente

Secondo la Sentenza n. 148/2024 della Corte Costituzionale è costituzionalmente illegittimo il comma dell’articolo 230-bis del Codice civile nella parte in cui, disciplinando l’impresa familiare, non prevede, alla stessa stregua del familiare, anche il convivente di fatto, diversamente da quanto avviene (per effetto della legge Cirinnà, 76/2016) con il componente dell’unione civile.

In conseguenza di ciò, risulta illegittimo anche l’articolo 230-ter del Codice civile, che attribuisce al convivente more uxorio una tutela ingiustificatamente discriminata rispetto a quella riconosciuta ai familiari e al componente dell’unione civile.

L’articolo 230-bis disciplina l’impresa familiare riconoscendo al familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa una serie significativa di diritti. A questi fini, per familiari si intendevano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.

Con l’entrata in vigore della legge Cirinnà sulle unioni civili, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Per il convivente di fatto – inteso quale parte della coppia di maggiorenni uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale – la legge Cirinnà ha riconosciuto, attraverso l’introduzione dell’articolo 230-ter del Codice civile, una tutela più limitata.

Sia l’Inps (Circolare n. 66/2017) che l’Ispettorato del Lavoro (Parere Inl 879/2023) hanno affermato che, se il componente dell’unione civile può essere considerato come «familiare» ai fini dell’articolo 230-bis, così non accade nei confronti del convivente more uxorio, il quale, sebbene presti analoga attività lavorativa in modo continuativo presso l’impresa del convivente, non può essere inquadrato come collaboratore familiare.

Per i Giudici di cassazione, il trattamento differenziato è irragionevole e non può essere superato da una lettura estensiva delle disposizioni vigenti. Dello stesso parere anche la Corte costituzionale che nella pronuncia osserva che, seppur rimangano nel nostro ordinamento alcune differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, i diritti fondamentali devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni. E tale è il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione nel contesto di un’impresa familiare, il quale impone uguale tutela tra coniuge, componente dell’unione civile e convivente di fatto.

Riduzione contributiva nel settore dell’edilizia per l’anno 2024

Il Decreto Direttoriale 16 maggio 2024 del Ministero del lavoro conferma per l’anno 2024 la riduzione contributiva a favore delle imprese edili nella misura dell’11,50%.

La riduzione contributiva riguarda le assicurazioni sociali diverse da quella pensionistica e si applica ai soli operai occupati con un orario di lavoro di 40 ore settimanali. Dalla base di calcolo della riduzione contributiva sono escluse: la contribuzione di pertinenza del Fpld e la contribuzione integrativa versata unitamente al contributo di disoccupazione ma destinata alla formazione, pari allo 0,30 per cento. Inoltre, la base di calcolo dell’agevolazione deve essere ridotta delle eventuali misure compensative spettanti in caso di conferimento del Tfr a previdenza complementare o al Fondo di tesoreria Inps.

Si ricorda, inoltre, che non costituiscono attività edili in senso stretto – pertanto sono escluse dalla riduzione contributiva in oggetto – le opere di installazione di impianti elettrici, idraulici ed altri lavori simili.

Per la trasmissione telematica del modulo, si resta in attesa della Circolare operativa emanata dall’Istituto.

Chiusura feriale dello Studio

Vi ricordiamo che lo Studio rimarrà chiuso per ferie dal 14 al 18 agosto 2024 e riaprirà regolarmente da lunedì 19 agosto 2024.

Per urgenze si prega di mandare una mail all’indirizzo info@studionicco.it oppure lasciare un messaggio in segreteria, comunicando il proprio nominativo e un recapito telefonico.

L’invio della newsletter riprenderà regolarmente dal mese di settembre.

Buone vacanze!

Privacy e riconoscimento facciale: il Garante conferma il divieto al controllo illecito delle presenze

Nella Newsletter n. 525 del 26 giugno 2024, il Garante per la protezione dei dati personali, comunica di aver irrogato una sanzione di 120.000 euro a una concessionaria di veicoli che ha violato i dati personali dei dipendenti attraverso l’utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale per il controllo delle presenze sul posto di lavoro.

L’intervento dell’Autorità aveva avuto luogo a seguito di un reclamo sporto da parte di un dipendente, il quale lamentava il trattamento illecito di dati personali, attraverso un sistema biometrico installato presso le due unità produttive della società.

Il reclamo, evidenziava anche l’utilizzo di un software gestionale attraverso il quale, ogni dipendente doveva registrare gli interventi di riparazione svolti sui veicoli assegnati, i tempi e le modalità di esecuzione dei lavori, nonché i tempi di inattività con le specifiche causali.

A seguito dell’attività ispettiva del Garante – avvenuta in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza – sono state rilevate numerose violazioni del Regolamento europeo da parte della società.

Nello specifico e con riferimento al trattamento dei dati biometrici, il Garante ha ribadito nuovamente che l’utilizzo di tali dati non è consentito perché non esiste nessuna norma di legge che, al momento attuale, preveda l’utilizzo del dato biometrico per la rilevazione delle presenze. Pertanto, l’Autorità ha ricordato che neanche il consenso manifestato dai dipendenti può essere considerato idoneo presupposto di liceità, per l’asimmetria tra le rispettive parti del rapporto di lavoro.

L’Autorità, inoltre, ha accertato che la concessionaria raccoglieva – attraverso l’uso di un software gestionale – dati personali relativi alle attività dei dipendenti con la finalità di predisporre report mensili da inviare alla casa madre, contenenti dati aggregati sui tempi impiegati dalle officine per le lavorazioni effettuate.

Tutto ciò era messo in pratica senza un’idonea base giuridica e un’adeguata informativa che, nel contesto del rapporto di lavoro, è espressione del principio di correttezza e trasparenza. L’Autorità, oltre a sanzionare la società, le ha quindi ordinato di conformare il trattamento dei dati effettuato mediante il software gestionale alle disposizioni della normativa privacy.