L’assenza per quarantena non è più equiparata alla malattia

L’Inps, a seguito della mancata previsione da parte del legislatore di un nuovo stanziamento a tutela della quarantena, ricorda che le assenze per quarantena a seguito di contatto con una persona positiva al Covid-19 avvenute nel 2021 non possono più essere equiparate a quella per malattia.

Ne consegue che il lavoratore che si trova in isolamento fiduciario perché è venuto a contatto con un soggetto positivo al Covid-19 deve essere considerato in aspettativa e/o in sospensione non retribuita.

Per completezza, ricordiamo che la normativa emergenziale equiparava – con riferimento al trattamento economico – alla malattia, i periodi trascorsi in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria per chi:

  • aveva avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva;
  • faceva ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, così come identificate dall’Oms.

Si evidenzia come, a seguito dell’eco mediatico di tale informazione, il Ministero si sia impegnato a cercare appositi stanziamenti a copertura della quarantena 2021.

Circolare Studio Nicco n. 58/2021 – Il contratto di rioccupazione

Per incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro dei soggetti in stato di disoccupazione, nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica, il Decreto-Legge “Sostegni Bis” ha istituito il Contratto di Rioccupazione: contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato la cui stipula attribuisce al datore di lavoro il diritto a beneficiare di un esonero contributivo dell’100% dei contributi previdenziali da lui dovuti, nel limite massimo di 6.000 euro su base annua e per un periodo massimo di sei mesi.

La Circolare n. 58 dello Studio Nicco ne analizza – nel dettaglio – le principali caratteristiche.

Leggi qui: Circolare n. 58 Studio Nicco – Il contratto di rioccupazione

Contratti a termine: le novità

Con l’entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Sostegni Bis sono state introdotte rilevanti novità anche con riferimento ai contratti a tempo determinato.

Le novità apportate riguardano le c.d. causali che devono essere inserite nel contratto:

  • Quando questo supera la durata di 12 mesi;
  • Quando si tratta di un rinnovo (nuovo contratto a termine tra medesimo lavoratore e datore di lavoro), a prescindere dal superamento dei 12 mesi di cui al punto precedente.

Le causali introdotte dal Decreto Dignità erano le seguenti:

  1. Esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
  2. Esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  3. Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

A queste si aggiunge la possibilità per i Contratti collettivi di lavoro di prevedere – in via ordinatoria – specifiche esigenze cui subordinare la stipula dei contratti a termine, nelle situazioni sopra indicate (rinnovo o superamento dei 12 mesi di durata). Tale ultima opzione è percorribile fino alla data del 30 settembre 2022.

Appalti edili: al via la verifica di congruità sull’incidenza della manodopera

Il Decreto n. 143/2021 del Ministero del lavoro introduce un sistema di verifica della congruità dell’incidenza della manodopera utilizzata nella realizzazione di lavori edili pubblici e privati.

I lavori interessati dal controllo saranno quelli per cui verrà presentata la dnl alla Cassa Edile competente per territorio a decorrere dal 1° novembre 2021.

Con specifico riferimento ai lavori privati, saranno interessati solo quelli il cui importo complessivo non sia inferiore a 70.000 euro. Saranno esclusi i lavori inerenti la ricostruzione delle aree territoriali colpite dagli eventi sismici del 2016 per cui siano state adottate specifiche ordinanze da parte del Commissario straordinario del governo.

Le aziende per cui verrà effettuata la verifica saranno quelle che svolgono attività edili direttamente e funzionalmente connesse all’attività prestata dall’impresa affidataria dei lavori, che applicano il Ccnl edilizia a livello nazionale e territoriale:

  • I lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o i altri materiali, comprese le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali , ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale o di sterro.
  • I lavori di costruzione edile o di ingegneria civile gli scavi ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile.

In prima battuta, la verifica verrà effettuata sugli indici minimi di congruità riferiti alle singole categorie di lavori, cui corrisponde uno specifico valore che verrà periodicamente aggiornato dal Ministero del lavoro.

Le categorie ed i relativi indici contenuti nel Decreto sono:

  • Nuova edilizia civile, compresi impianti e forniture (14,28%);
  • Nuova edilizia industriale, esclusi impianti (5,36%);
  • Ristrutturazione di edifici civili (22,00);
  • Ristrutturazione di edifici industriali, esclusi impianti (6,69%);
  • Restauro e manutenzione di beni tutelati (30,00%);
  • Opere stradali, ponti, ecc. (13,77%);
  • Opere d’arte nel sottosuolo (10,82%);
  • Dighe (16,07%);
  • Acquedotti e fognature (14,63%);
  • Gasdotti (13,66%);
  • Oleodotti (13,66%);
  • Opere di irrigazione ed evacuazione (12,48%);
  • Opere marittime (12,16%);
  • Opere fluviali (13,31%);
  • Impianti per la produzione di energia elettrica (14,23%);
  • Impianti per la trasformazione e la distribuzione (5,36%);
  • Bonifica e protezione ambientale (16,47%).

Il calcolo verrà eseguito tenendo conto delle informazioni dichiarate dall’impresa principale, con specifico riferimento a:

  • Valore complessivo dell’opera,
  • Valore dei lavori edili previsti per la realizzazione della stessa,
  • Committenza,
  • Eventuali imprese subappaltatrici e sub-affidatarie.

In caso di variazioni che interessino i valori oggetto di verifica, l’impresa è tenuta a dimostrare la congruità sulla base dei nuovi valori dichiarati.

L’attestazione viene rilasciata dalla Cassa Edile, entro 10 giorni dalla richiesta, su istanza dell’impresa affidataria, del soggetto da essa delegato o dal committente.

Se dalle verifiche effettuate non si riscontra congruità con gli indici, è previsto un meccanismo di regolazione della posizione, su invito della Cassa Edile competente:

  1. Se l’impresa regolarizza la propria posizione nel termine di 15 giorni, viene rilasciata la dichiarazione di congruità;
  2. Se l’impresa non regolarizza entro il termine di 15 giorni, l’esito negativo andrà ad incidere sulle successive verifiche di regolarità contributiva finalizzare al rilascio del Durc dell’impresa affidataria.

L’attestazione di congruità viene rilasciata anche se lo scostamento rispetto agli indici è pari o inferiore al 5% della percentuale di incidenza della manodopera.

Il controllo degli esiti delle verifiche di congruità della manodopera impiegata sarà definito da una convezione di prossima sottoscrizione tra il Ministero del lavoro, l’Inps, l’Inail e la Cnce.

Corte D’Appello: utilizzabili le registrazioni realizzate nei locali aziendali

Le registrazioni delle telecamere presenti all’interno di locali aziendali possono essere usate dal datore di lavoro per contestare ad una dipendente le condotte poste in essere da quest’ultima in violazione delle procedure aziendali e penalmente rilevanti.

E’ quanto afferma la sentenze della Corte D’Appello di Venezia nella Sentenza n. 476/2021.

Nel caso di specie, dalle registrazioni si è rilevato che la cassiera di una casa da gioco si era appropriata degli incassi del locale. Il datore di lavoro ha proceduto a licenziare la lavoratrice per giusta causa.

Secondo i Giudici, nonostante gli impianti audiovisivi debbano essere «funzionali alle esigenze del gioco e di tutte le attività connesse, al fine di tutelare da eventuali contestazioni, di non sempre agevole soluzione, sia la clientela che gli impiegati della cassa da gioco», e le relative informazioni e registrazione dovrebbero essere utilizzate solo «a discolpa» di clientela e impiegati, rileva in maniera fondamentale la parte dell’accordo sindacale in cui viene legittimato delle informazioni anche per fatti «a carico» dei dipendenti che  fossero ritenuti «di particolare rilevanza o gravità».

Inoltre:

  • Era provato che la dipendente fosse pienamente informata dell’esistenza del sistema di videoregistrazione;
  • Dall’impianto probatorio risultava palese l’innaturalità di alcuni comportamenti messi in atto dalla dipendente, confermato anche dai colleghi;
  • Dall’esame di distinte di cassa, di estratti del sistema informativo aziendale e di mandati di pagamento erano emersi ammanchi e operazioni che alla lavoratrice avevano portato plusvalenze;
  • La lavoratrice non ha fornito spiegazioni alternative per giustificare i propri comportamenti ed atteggiamenti

In conseguenza di tutto ciò e delle mansioni di responsabilità svolte dalla lavoratrice (cassiera), il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore viene irrimediabilmente leso, al punto da far ritenere integrata la causale della giusta causa del licenziamento.

L’utilizzo indebito dei permessi ex L. 104/92 giustifica il licenziamento

Può essere licenziato per giusta causa il lavoratore che venga sorpreso a svolgere attività incompatibili e non direttamente correlate alla fruizione dei permessi disciplinati dalla Legge 104/92.

La Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, con la Sentenza n. 17102/2021, conferma quanto espresso dal Giudice di primo grado, il quale ha ritenuto corretta la procedura di licenziamento per giusta causa del dipendente che viene sorpreso dall’agenzia investigativa nello svolgimento di attività non compatibili con l’assistenza alla madre disabile per la quale utilizzava i permessi previsti dalla Legge 104/92.

Tale comportamento danneggia in maniera non ripristinabile il vincolo fiduciario sotteso al rapporto tra dipendente e datore di lavoro giustificando, pertanto, il provvedimento espulsivo.

Quando la reperibilità è considerata orario di lavoro? Le pronunce della Corte di Giustizia Europea

Tramite due pronunce la Corte di Giustizia Europea stabilisce i criteri per individuare quando la reperibilità debba essere considerata orario di lavoro.

La prima sentenza riguardava il caso di un tecnico tra le cui mansioni figurava quella di assicurare il funzionamento di centri di trasmissione televisiva situati in zone montane e che doveva garantire 6 ore al giorno di reperibilità telefonica e l’obbligo di raggiungere il luogo dell’intervento entro un’ora, ma non quello di rimanere sul posto di lavoro. Il fatto di svolgere l’attività in una località montana, tuttavia, gli impediva di muoversi liberamente.

La seconda sentenza riguardava, invece, un pompiere che – oltre al consueto orario di lavoro – durante la reperibilità doveva essere contattabile e, in caso di necessità, doveva raggiungere i confini della città entro 20 minuti.

In tutti e due i casi i lavoratori sostenevano che – considerate le restrizioni imposte – i periodi di reperibilità dovessero essere considerati come orario di lavoro e retribuiti di conseguenza.

Tuttavia, in entrambi i casi la Corte ha ritenuto infondate le richieste dei lavoratori sostenendo il principio secondo cui per poter considerare la reperibilità come orario di lavoro deve verificarsi la condizione che il lavoratore sia obbligato a rimanere a disposizione del datore sul luogo di lavoro e che questo sia diverso dal suo domicilio.

Per operare tale qualificazione- ricordano i Giudici – è necessario prendere come parametri le specifiche condizioni e i vincoli cui è soggetto il lavoratore da una norma nazionale di legge, dalla contrattazione collettiva o dal datore di lavoro stesso.

Diversamente, non rilevano le difficoltà organizzative che derivano da elementi naturali o dalla libera scelta del lavoratore.

Inoltre, è necessario considerare anche la ragionevolezza del termine a disposizione per riprendere servizio, tenuto conto delle eventuali facilitazioni che vengono concesse al lavoratore.

Da ultimo, la Corte ricorda che, con riferimento ai periodi di guardia o prontezza, poiché gli stessi non ricadono sotto la direttiva 2003/88,  possono essere remunerati diversamente dalle ore di prestazione effettiva, anche quando vengano considerati come orario di lavoro.

Cassazione: illegittimo il licenziamento della lavoratrice madre

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13861/2021 – ha confermato che non può essere ritenuto legittimo il licenziamento della lavoratrice madre durante il c.d. periodo protetto se questo viene intimato per cessazione dell’attività di un singolo reparto dell’azienda anziché dell’intera attività aziendale.

Ricordiamo che il periodo protetto, durante il quale vige il divieto di licenziamento, decorre dall’inizio della  gestazione fino al compimento del primo anno di vita del bambino.

I Giudici hanno fondato la loro pronuncia sulla tesi che non sia possibile dare un’interpretazione estensiva alla deroga vigente al divieto di licenziamento.

Il trasferimento del lavoratore come adempimento dell’obbligo di repêchage: il parere della Cassazione

L’obbligo di repêchage interessa il datore di lavoro che – prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo – è tenuto a prendere in considerazione tutte le ipotesi di ricollocazione del lavoratore all’interno dell’azienda.

Una modalità per adempiere a tale obbligo è individuata anche nel trasferimento del lavoratore presso un’altra unità produttiva aziendale. Tuttavia, perché l’operazione sia considerata genuina, il trasferimento deve essere disposto per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, come previsto dall’articolo 2103 del Codice Civile. Se lo spostamento avviene nell’ambito della medesima unità produttiva, allora non si qualifica come trasferimento.

Una recente pronuncia di Cassazione ha stabilito come illegittimo un licenziamento comminato senza aver adempiuto alle verifiche imposte dall’obbligo di repêchage. Nello specifico, il datore di lavoro si era limitato ad offrire al lavoratore una ricollocazione presso società estranee alla titolarità del rapporto di lavoro, ma appartenenti al medesimo gruppo.

Secondo i Giudici, gli obblighi in capo al datore di lavoro non si possono considerare come adempiuti. Il solo collegamento economico/funzionale tra imprese gestite facenti parte di un medesimo gruppo non consente di estendere automaticamente a tutte le società in questione gli obblighi inerenti i rapporti di lavoro. Perché ciò avvenga è necessaria l’esplicita individuazione di un unico centro di imputazione dei rapporto di lavoro che investa tutte le società del gruppo.

La Sentenza si uniforma ad una pronuncia di Cassazione più risalente, secondo cui, in caso di licenziamento, il datore di lavoro ha l’onere di allegazione e di prova circa l’esistenza del giustificato motivo oggettivo. Tra tali oneri ricade anche la dimostrazione dell’impossibilità del repêchage: il datore di lavoro deve dimostrare quali siano le basi che legittimano l’esercizio del potere di recesso. Diversamente, il licenziamento è da considerarsi illegittimo.

Garante Privacy: videosorveglianza e tutela dei dati personali

Il Garante Privacy torna ad esprimersi in tema di videosorveglianza con le Faq pubblicate il 5 dicembre scorso nell’apposita sezione del sito internet, fornendo chiarimenti sulla corretta gestione degli adempimenti connessi alla tutela della privacy, i quali vanno ad innestarsi su quelli già previsti dallo Statuto dei lavoratori.

Riassumendo brevemente, il sopra richiamato Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970), all’articolo 4, prevede la possibilità – per il datore di lavoro – di installare impianti e strumenti audiovisivi che consentano anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori esclusivamente per esigenze:

  • Organizzative e produttive,
  • Inerenti la sicurezza sul lavoro,
  • Connesse alla tutela del patrimonio aziendale.

Per poter procedere in tal senso, tuttavia, è necessario che lo stesso datore di lavoro proceda preventivamente a sottoscrivere un accordo con le Rsa/Rsu oppure – in mancanza di tale accordo – ottenga l’autorizzazione preventiva da parte dell’Inl.

Le successive modifiche apportate alla normativa dal Jobs Act, diversificano gli adempimenti da porre in essere a seconda del tipo di strumento utilizzato.

Nello specifico, l’installazione e l’utilizzo di impianti audiovisivi e di altri sistemi di videosorveglianza sottostanno obbligatoriamente all’accordo sindacale o all’autorizzazione dell’Inl preventivi.

Diversamente, per l’utilizzo degli strumenti di lavoro e di registrazione di accessi e presenze non è necessario alcun accordo o autorizzazione (sul punto leggi anche Impianti GPS, chiarimenti ministeriali).

Per entrambi gli strumenti, tuttavia, il datore di lavoro è tenuto a predisporre adeguata documentazione informativa sulle modalità di utilizzo, dei controlli effettuati e del rispetto della normativa sulla tutela dei dati personali.

Proprio sul rispetto della normativa sulla privacy va ad innestarsi l’intervento del Garante – anche alla luce delle nuove disposizioni introdotte dal Regolamento Europeo 2016/67.

In primis, viene chiarito che l’installazione di impianti di videosorveglianza non è soggetta ad alcuna autorizzazione da parte del Garante. Come anticipato in precedenza, per rispettare la normativa in materia di tutela dei dati personali, l’attenzione va posta fondamentalmente sulla documentazione informativa predisposta.

Così, i locali e le zone sottoposte a sorveglianza devono essere appositamente segnalati e la cartellonistica deve essere apposta prima che il personale possa avere accesso a tali aree.

Altro tema caldo riguarda le registrazioni effettuate dal sistema, che devono essere conservate esclusivamente per il periodo utile alle finalità per cui vengono realizzate. E’ il datore di lavoro stesso il soggetto tenuto all’individuazione dei tempi di conservazione delle immagini, considerando il contesto e le finalità del trattamento, nonché il rischio di ledere i diritti e le libertà delle persone fisiche.

Secondo il Garante, il datore di lavoro è tenuto a seguire il principio di minimizzazione dei dati e di limitazione della conservazione, operando la cancellazione degli stessi al massimo entro pochi giorni dall’acquisizione, possibilmente tramite modalità automatizzate. Più il periodo di conservazione viene prolungato oltre quello previsto (in particolar modo se eccede le 72 ore), più si rende necessaria una relazione ragionata sugli scopi e le necessità di conservazione.

Un ulteriore parametro che può essere considerato nell’individuazione del limite massimo di conservazione delle immagini è certamente la dimensione aziendale. Oppure, la conservazione può essere modulata sulla base degli orari di apertura della struttura (magari intensificata nel fine settimana). In altri casi la giustificazione della conservazione prolungata risiede nella necessità di far fronte a specifiche richieste dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria.

Un importante chiarimento fornito è anche quello per cui, per gli impianti c.d. falsi non si deve adempiere alla normativa in materia di tutela dei dati personali. Gli stessi restano, però, soggetti agli accordi/autorizzazioni preventivi.

Leggi le Faq Videosorveglianza del Garante Privacy