La conciliazione comprende anche i contributi già prescritti

In caso di conciliazione di natura prettamente tombale – sottoscritta occasione della risoluzione del rapporto di lavoro – questa comprende (se prescritti) anche i contributi di natura previdenziale. Tali importi devono considerarsi ricompresi perché riguardano diritti disponibili, rispetto ai quali è stato riconosciuto un qualcosa destinato a lenire il danno subìto dal lavoratore per l’irregolare versamento dei contributi stessi.

E’ quanto afferma il Tribunale di Roma con la Sentenza n. 1072 del 1 febbraio 2023.

 

Cambio Ccnl e clausole peggiorative

La Corte di cassazione, sezione lavoro, nella Sentenza 31148/2022 afferma che il contratto collettivo rappresenta una fonte eteronoma di integrazione del contratto individuale e che, pertanto, la sostituzione di una fonte collettiva con un’altra non possa essere validamente ricondotta alle previsioni dell’articolo 2077 del codice civile in tema di efficacia del contratto collettivo su quello individuale, che vietano le modifiche peggiorative.

E’ appena il caso di ricordare che è l’orientamento secondo cui sono sempre ammissibili modificazioni peggiorative che possono interessare il rapporto di lavoro in caso di successione dei contratti collettivi. Unico limite è rappresentato dai c.d. “diritti quesiti”, cioè quelli già definitivamente entrati a far parte della sfera giuridica del lavoratore.

Per i giudici, quindi, è da escludere che il lavoratore – salva tale eccezione –  possa pretendere che un diritto che deriva da una norma collettiva non più esistente venga considerato come definitivamente acquisito al suo patrimonio.
Se i contratti collettivi sono una fonte eteronoma di regolamento che opera dall’esterno, ne consegue che non si incorpora di per sé nel contenuto dei contratti individuali sottoscritti dai singoli lavoratori.

Il criterio del trattamento più favorevole (ex. dall’articolo 2077 c.c.) riguarda solo il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale. Ne consegue che  non determina in alcun modo l’obbligo di mantenere le disposizioni di un contratto collettivo sostituito, neanche se sono previste condizioni peggiorative per il lavoratore.

Tale principio può essere applicato, peraltro, non solo in caso di successione dei contratti collettivi nel tempo, ma anche in ipotesi di sostituzione di una fonte collettiva con un’altra.

Periodo di comporto: il datore di lavoro deve considerare anche la gravità della patologia

È da considerarsi nullo il licenziamento irrogato a un lavoratore affetto da grave patologia degenerativa per superamento del periodo massimo di malattia.

La particolare condizione di handicap grave del lavoratore avrebbe dovuto impedire al datore di lavoro di applicare in maniera letterale la previsione del Ccnl sul periodo di comporto e di considerare l’adozione di accorgimenti ragionevoli che tenessero conto della natura irreversibile della malattia.

La Sentenza 168/2023 della Corte d’appello di Napoli evidenzia che la norma collettiva sul periodo di comporto è solo apparentemente neutra ma, in realtà, determina un’ingiustificata disparità di trattamento nell’ambito delle assenze per malattia, in cui è fondamentale operare dei correttivi rispetto ai lavoratori affetti da handicap.

A supporto della tesi si richiama l’articolo 2 del decreto legislativo 216/2003, secondo cui si verifica discriminazione indiretta quando una disposizione, un atto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona portatrice di handicap in una condizione di particolare svantaggio rispetto ad altri.

Ne consegue che:

  • il contratto collettivo, che disciplina in modo indifferenziato il superamento del periodo massimo di malattia, dà luogo a una discriminazione indiretta;
  • il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato al lavoratore disabile risulta, in tal caso, radicalmente nullo e comporta l’applicazione del regime di tutela reale forte (reintegrazione e versamento delle retribuzioni intermedie).

I Giudici osservano che era onere del datore prevedere quei ragionevoli accorgimenti che permettono di adattare le assenze per malattia del lavoratore disabile alla condizione di handicap degenerativo da cui era affetto. Piuttosto che disporre il licenziamento per superamento del comporto, il datore avrebbe dovuto intraprendere la via del licenziamento per sopravvenuta inidoneità, monitorando le condizioni del lavoratore periodicamente.

Buoni carburante 2023: non formano reddito, ma sono assoggettati a contribuzione

Per l’anno 2023 resta in vigore la possibilità, per i datori di lavoro, di erogare il c.d. bonus carburante di importo pari a 200 euro ai propri dipendenti.

Tuttavia, la Legge n. 24/2023 che converte il Decreto Legge n. 5/2023,  apporta profonde modifiche alla disciplina dell’imponibilità di tale tipologia di buoni.

La norma, infatti, seppur conferma l’esclusione della somma di 200 euro dalla formazione del reddito fiscalmente imponibile, ne introduce l’assoggettamento a contribuzione, affermando quanto segue: “fermo restando quanto previsto dall’art. 51 comma 3 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917, il valore dei buoni benzina o di analoghi titoli per l’acquisto di carburanti ceduti dai datori di lavoro privati ai lavoratori dipendenti, nel periodo dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, non concorre alla formazione del reddito del lavoratore se di importo non superiore a 200 euro. L’esclusione dal concorso alla formazione del reddito del lavoratore disposta dal primo periodo, non rileva ai fini contributivi.”

Tirocinio formativo e permesso di soggiorno per motivi di studio

In una recente Nota, l’INL si esprime in merito alla possibilità di svolgere attività di tirocinio anche extracurricolare per il soggetto in possesso di permesso di soggiorno rilasciato per motivi di studio e formazione.

Come premessa, si ricorda che la normativa nazionale e regionale in materia di tirocini formativi e di orientamento, per un generale principio di parità di trattamento, trova applicazione anche ai cittadini non appartenenti all’Unione europea, consentendo anche ai cittadini provenienti da Paesi extra-Ue di usufruire dei percorsi di tirocinio come strumenti formativi e orientativi finalizzati all’inserimento lavorativo.

In aggiunta, è prevista dalla normativa vigente una distinzione tra:

  • L’ipotesi di tirocinio da instaurarsi con un cittadino extra-comunitario regolarmente soggiornante in Italia – ad esempio, come nel caso in esame, con permesso di soggiorno rilasciato per motivi di studio –
  • L’ipotesi di tirocinio da instaurarsi con un cittadino extra-Ue che si trova all’estero.

Nello specifico, l’art. 2 del D.M. 22 marzo 2006 prevede che “ai cittadini non appartenenti all’Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia si applica, integralmente la normativa regionale vigente in materia di tirocini formativi e di orientamento o, in difetto, la regolamentazione contenuta nel decreto ministeriale 25 marzo 1998, n. 142…”, diversamente dall’ipotesi di cui all’art. 3 dello stesso decreto relativa ai “cittadini non appartenenti all’Unione europea (…) residenti all’estero” nei confronti dei quali “trova applicazione quanto previsto, in attuazione del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’art. 40, comma 9, lettera a), del decreto del Presidente Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, come modificato dall’art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334“.

Nel caso in esame, essendo il cittadino straniero è già presente sul territorio italiano con un titolo di soggiorno in corso di validità (per studio o formazione professionale), l’INL ritiene possibili le seguenti fattispecie:

  1. Il soggetto possa svolgere tutte le attività di tirocinio curriculare previste dal corso di studi o formazione professionale per cui è stato rilasciato il permesso di soggiorno in quanto rientranti nelle finalità per le quali il permesso di soggiorno è stato rilasciato.
  2. Analogamente, è possibile svolgere (nel rispetto dei presupposti previsti dalla normativa regionale) un’attività di tirocinio non curriculare, compatibilmente con l’espletamento del percorso di studio o formazione professionale sotteso al rilascio del titolo di ingresso.

Smart working lavoratori fragili: prorogati i termini

La legge n. 14/2023 (legge di conversione del decreto Milleproroghe) introduce, con alcuni emendamenti,  due proroghe in materia di smart working.
1) Prorogato fino al 30 giugno 2023 il diritto a rendere la prestazione con modalità di lavoro agile per i lavoratori dipendenti pubblici e privati affetti dalle patologie e condizioni individuate dal decreto del Ministro della Salute di cui all’art. 17, comma 2, del D.L. n. 221/2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11/2022.
Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento. Resta ferma l’applicazione delle disposizioni dei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro, ove più favorevoli.
2) Anche il diritto dei genitori di un figlio minore di anni 14 di rendere la prestazione con modalità di lavoro agile anche in assenza di accordi individuali è prorogato al 30 giugno 2023, ma esclusivamente per i lavoratori del settore privato.
Il diritto può essere fatto valere a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore e a condizione che la modalità di lavoro agile sia compatibile con le caratteristiche della prestazione da rendere.

Consegna della busta paga in modalità telematica: il datore di lavoro deve approntare una postazione ad hoc per la consultazione

Il datore di lavoro può consegnare le buste paga anche in modalità online (via email o tramite sito web aziendale) e mettere a disposizione del lavoratore degli strumenti tecnici per raggiungere un risultato equivalente alla consegna del documento cartaceo.
Non rientra tra i compiti del giudice appurare quale sia il preferibile tra gli strumenti sostitutivi della consegna cartacea.

E’ questo il contenuto della Sentenza 140/2022 della Corte d’Appello di Milano in merito all’obbligo posto a carico del datore di lavoro di consegnare la busta paga ai dipendenti.

In prima istanza, il giudice del lavoro aveva accolto la domanda delle ricorrenti condannando il datore di lavoro alla consegnare le buste paga richieste, in formato cartaceo, nonché a predisporre un’idonea postazione informatica provvista di terminale pc e stampante, presso il luogo di lavoro.

Il ricorso in appello vede la conferma di quanto disposto dalla sentenza di primo grado, non riscontrandosi idonea postazione sul luogo di lavoro, per provvedere all’acquisizione del documento.

Tuttavia, viene riformato il dispositivo della Sentenza: se da un lato è corretto intimare il datore di lavoro alla consegna della busta paga, dall’altro, non rientra tra i compiti del Giudice pronunciarsi su quale sia il più opportuno strumento sostitutivo della consegna cartacea, trattandosi di una valutazione non giuridica.

Agevolazioni all’assunzione per l’anno 2023

La legge di Bilancio proroga per l’anno 2023 l’efficacia di due benefici contributivi:
1) quello previsto per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani under 36;
2) quello previsto per assumono personale femminile che si trova in determinate condizioni di svantaggio.
Per poter usufruire in maniera operativa dell’agevolazione, tuttavia, è necessario attendere l’autorizzazione della Commissione Europea.
Analizziamo di seguito i due benefici.
ASSUNZIONE DI GIOVANI UNDER 36

Datori di lavoro destinatari 

Possono usufruire dell’agevolazione tutti i datori di lavoro privati (imprenditori e non imprenditori) e i datori di lavoro agricoli.
Sono, invece, esclusi i datori domestici (per la particolarità del rapporto), le imprese del settore finanziario (banche, assicurazioni, ecc.) e le Pubbliche Amministrazioni individuate principalmente nell’elencazione dell’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001.

Tipologie contrattuali

L’assunzione deve avvenire con contratto a tempo indeterminato, anche a tempo parziale, e deve riguardare un lavoratore o una lavoratrice che non abbiano compiuto i 36 anni (da intendersi come 35 anni e 364 giorni) e che nella loro carriera lavorativa non abbiano mai avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Eccezioni:
  • Contratto di apprendistato: i periodi di apprendistato non giunti al termine del periodo formativo non sono ostativi al riconoscimento della agevolazione;
  • Contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato: si considera come contratto non dotato della caratteristica di stabilità, poiché la prestazione è di natura prettamente saltuaria ed episodica;
  • Contratto di lavoro domestico a tempo indeterminato: essendo il lavoro domestico escluso dalla fruizione dell’agevolazione, non dovrebbe rilevare come ostativo al riconoscimento del beneficio.

Misura dell’agevolazione

La misura dell’agevolazione è pari ad 8.000 euro su base annua e ha una durata  per 36 mesi (estesi a 48 per i datori di lavoro che assumono in unità produttive ubicate in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna).
L’esonero riguarda il versamento dei contributi previdenziali, con esclusione dei premi e dei contributi INAIL e ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, pari al 100% della quota a carico del datore di lavoro per un massimo di 8.000 euro l’anno.
Ne consegue che, la quota massima di esenzione è pari a 666,66, mentre quella giornaliera non dovrebbe superare i 21,50 euro.
Oltre ai premi ed ai contributi INAIL, il datore di lavoro è tenuto a versare (se dovuta) la contribuzione minore:
  • il contributo, al Fondo per l’erogazione ai lavoratori del settore privato dei trattamenti di fine rapporto ex art. 2120 c.c. (art. 1, comma 755 della legge n. 296/2006);
  • il contributo, ai fondi bilaterali, al FIS ed ai Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano, previsti dal D.L.vo n. 148/2015;
  • il contributo dello 0,30% in favore dei Fondi interprofessionali per la Formazione continua ex art. 118 della legge n. 388/2000;
  • il contributo, ove dovuto, per il Fondo del settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali;
  • le contribuzioni non previdenziali concepite per apportare elementi di solidarietà alle gestioni previdenziali di riferimento;
  • il contributo di solidarietà sui versamenti destinati alla previdenza complementare e/o ai fondi di assistenza sanitaria ex D.L. n. 103/1991;
  • il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo ex art. 1, commi 8 e 14, del D.L.vo n. 182/1997;
  • il contributo di solidarietà per gli sportivi professionisti ex art. 1, commi 3 e 4, del D.L.vo n. 166/1997.
Obblighi da rispettare
Il beneficio spetta se:
  1. il datore di lavoro è in regola con il DURC che, a partire dal 1° gennaio 2022, per effetto dell’art. 40-bis del D.L.vo n. 148/2015, comprende anche, per le imprese che vi rientrano, il versamento dovuto per gli ammortizzatori sociali ai Fondi bilaterali previsti dagli articoli 26, 27 e 40;
  2. il datore di lavoro non ha violazioni di norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro (che sono quelle richiamate già nell’allegato al primo D.M. che ha disciplinato il DURC) e rispetta gli altri obblighi di legge;
  3. il datore di lavoro applica gli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché quelli territoriali o aziendali, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Il beneficio non spetta se:
  1. l’assunzione viola un diritto di precedenza previsto dalla legge o dal contratto collettivo (si pensi, ad esempio, al diritto di precedenza esternato per iscritto ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015 da un lavoratore con precedente contratto a tempo determinato, o a un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo nei sei mesi precedenti secondo la previsione dell’art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, o ad un lavoratore non transitato a seguito di cessione di azienda presso il nuovo datore, il quale per dodici mesi è titolare di tale diritto, come ricorda l’art. 47, comma 6, della legge n. 428/1990;
  2. presso il datore di lavoro o l’utilizzatore con contatto di somministrazione siano in atto sospensioni per crisi o riorganizzazione aziendale a meno che l’assunzione programmata non sia per un livello completamente diverso da quello dei lavoratori in integrazione salariale straordinaria o sia destinato a prestare attività in una unità produttiva diversa da quella interessata alla sospensione.
Altre disposizioni da rispettare:
  • Il datore di lavoro non deve aver proceduto nei sei mesi antecedenti l’assunzione a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o collettivi a seguito di procedura di riduzione di personale ex lege n. 223/1991 di lavoratori inquadrati con la medesima qualifica nella stessa unità produttiva;
  • Il datore di lavoro non deve aver proceduto nei nove mesi successivi l’assunzione a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o a licenziamenti collettivi ai sensi della legge n. 223/1991 di lavoratori inquadrati con la stessa qualifica nella medesima unità produttiva. Ricorrendo tale ipotesi l’Istituto è abilitato dalla norma a revocare il beneficio e a richiedere indietro quello fruito per i mesi trascorsi.

ASSUNZIONE DI DONNE IN PARTICOLARI CONDIZIONI DI SVANTAGGIO

Datori di lavoro beneficiari

I destinatari del beneficio sono:
  • Tutti i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, anche quelli del settore agricolo;
  • Gli Enti pubblici economici, gli IACP trasformati in Enti pubblici economici da leggi regionali, gli Enti privatizzati trasformati in società di capitali, pur se interamente pubbliche, le ex IPAB, le aziende speciali costituite anche in consorzio ex articoli 31 e 114 del D.L.vo n. 267/2000, i consorzi di bonifica, i consorzi industriali, gli Enti morali e quelli ecclesiastici.

Il requisito donne “svantaggiate”

Le lavoratrici per le quali si può usufruire del beneficio sono quelle definite come svantaggiate dalla legge n. 92/2012:

  • donne con almeno 50 anni di età, disoccupate da oltre 12 mesi;
  • donne di qualsiasi età, residenti in Regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambiti dei Fondi strutturali dell’Unione Europea privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi;
  • donne di qualsiasi età che svolgono professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi. Ogni anno i settori sono definiti da un Decreto Ministro del Lavoro di concerto con quello dell’Economia: l’ultimo è il n. 327 del 16 novembre 2022;
  • donne di qualsiasi età, ovunque residenti, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi. In questo caso va verificato se nei 2 anni antecedenti l’assunzione la lavoratrice non abbia svolto un’attività di lavoro subordinato legata ad un contratto di almeno 6 mesi o un’attività di collaborazione coordinata e continuativa la cui remunerazione annua sia superiore a 8.145 euro o un’attività di lavoro autonomo tale da produrre un reddito annuo superiore a 4.800 euro (v. circolare INPS n. 32/2021).
Rapporti di lavoro interessati:
  • contratto a tempo determinato, con l’incentivo che si fruisce per un massimo di 12 mesi;
  • il contratto a tempo indeterminato, con l’incentivo che si fruisce per un massimo di 18 mesi;
  • il contratto a tempo indeterminato a seguito di trasformazione di un contratto già agevolato: in questo caso la durata complessiva de beneficio è per 18 mesi.
Il beneficio non è fruibile in caso di assunzione con contratto di lavoro intermittente, anche se a tempo indeterminato, perché non possiede il requisito della stabilità nel lavoro, essendo le prestazioni saltuarie ed episodiche.

Importo dell’agevolazione

L’agevolazione può essere utilizzata fino ad un importo massimo di 8.000 euro annui sulla quota a carico del datore di lavoro, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
In questo caso, sono compresi anche i contributi ed i premi assicurativi INAIL (cfr. Ministero del Lavoro: circolare n. 34/2013 e INAIL: circolare n. 28/2004).
Il datore di lavoro è tenuto a versare (se dovuta) la contribuzione minore:
  • il contributo, al Fondo per l’erogazione ai lavoratori del settore privato dei trattamenti di fine rapporto ex art. 2120 c.c. (art. 1, comma 755 della legge n. 296/2006);
  • il contributo, ai fondi bilaterali, al FIS ed ai Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano, previsti dal D.L.vo n. 148/2015;
  • il contributo dello 0,30% in favore dei Fondi interprofessionali per la Formazione continua ex art. 118 della legge n. 388/2000;
  • il contributo, ove dovuto, per il Fondo del settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali;
  • le contribuzioni non previdenziali concepite per apportare elementi di solidarietà alle gestioni previdenziali di riferimento;
  • il contributo di solidarietà sui versamenti destinati alla previdenza complementare e/o ai fondi di assistenza sanitaria ex D.L. n. 103/1991;
  • il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo ex art. 1, commi 8 e 14, del D.L.vo n. 182/1997;
  • il contributo di solidarietà per gli sportivi professionisti ex art. 1, commi 3 e 4, del D.L.vo n. 166/1997.

Condizioni e obblighi per la fruizione del beneficio

La fruizione del beneficio è subordinata al rispetto delle seguenti condizioni di carattere generale:

  • il datore di lavoro deve essere in regola con il DURC che, a partire dal 1° gennaio 2022, per effetto dell’art. 40-bis del D.Lvo n. 148/2015, comprende anche, per le imprese che vi rientrano, il versamento dovuto per gli ammortizzatori sociali ai Fondi bilaterali previsti dagli articoli 26, 27 e 40;
  • il datore di lavoro non deve aver violato norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro (che sono quelle richiamate già nell’allegato al primo D.M. che ha disciplinato il DURC) e deve rispettare gli altri obblighi di legge;
  • il datore di lavoro è tenuto ad applicare gli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché quelli territoriali o aziendali, sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In aggiunta, il beneficio non spetta se:
  • l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva: tale disposizione vale anche nel caso in cui la lavoratrice avente diritto all’assunzione venga utilizzata attraverso un contratto di somministrazione;
  • l’assunzione viola un diritto di precedenza previsto dalla legge o dal contratto collettivo (si pensi, ad esempio, al diritto di precedenza esternato per iscritto ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015 da una lavoratrice o un lavoratore con precedente contratto a tempo determinato, o a un lavoratore (o lavoratrice) licenziato per giustificato motivo oggettivo nei sei mesi precedenti secondo la previsione dell’art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, o ad un dipendente non transitato a seguito di cessione di azienda presso il nuovo datore, il quale per dodici mesi è titolare di tale diritto, come ricorda l’art. 47, comma 6, della legge n. 428/1990;
  • presso il datore di lavoro o l’utilizzatore con contatto di somministrazione siano in atto sospensioni per crisi o riorganizzazione aziendale a meno che l’assunzione programmata non sia per un livello completamente diverso da quello dei lavoratori in integrazione salariale straordinaria o sia destinato a prestare attività in una unità produttiva diversa da quella interessata alla sospensione;
  • la lavoratrice neo assunta risulti essere stata licenziata nei 6 mesi antecedenti da un datore di lavoro che, al momento del licenziamento, presentava assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro assumente, o risultava con quest’ultimo in rapporto di collegamento o controllo.
Ulteriore requisito aggiuntivo: l’incremento occupazionale
Per poter usufruire del beneficio, l’assunzione deve comportare un incremento occupazionale netto rispetto alla media dei 12 mesi precedenti.
In base alle indicazioni fornite sia dall’art. 2, punto 32, del Regolamento UE n. 651/2014, che dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza n, C-415/07 del 2009,  la valutazione dell’incremento discende confrontando “il numero medio di Unità di Lavoro Annuo (U.L.A.) dell’anno precedente all’assunzione con il numero medio di U.L.A. dell’anno successivo all’assunzione”.
Nella valutazione dell’incremento occorre inserire anche i lavoratori dipendenti con contratto a tempo determinato, intermittente o a tempo parziale che vanno computati alla luce, rispettivamente, degli articoli 27, 18 e 9 del D.L.vo n. 81/2014.
In merito, la circolare n. 34/2014 il Ministero del Lavoro chiarisce che il datore di lavoro deve verificare la forza effettivamente presente nei 12 mesi successivi: pertanto, il beneficio non viene riconosciuto per i mesi in cui tale incremento non si è realizzato.
L’agevolazione è da considerarsi riconosciuta anche nel caso in cui l’incremento non si realizza perché nel periodo sotto osservazione si sono resi vacanti posti di lavoro per:
a) dimissioni volontarie;
b) invalidità;
c) pensionamento per raggiunti limiti di età;
d) riduzione volontaria dell’orario di lavoro;
e) licenziamento per giusta causa.

Trattamenti di integrazione salariale e sanzioni per mancato obbligo formativo: ecco il decreto ministeriale

Sulla GU n. 253 del 28/10/2022 è stato pubblicato il Decreto 2 agosto 2022 emanato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali contenente i criteri e le modalità per l’accertamento sanzionatorio di mancata attuazione dell’obbligo formativo da parte del lavoratore in costanza delle integrazioni salariali straordinarie.

Il documento afferma che in caso di mancata partecipazione, senza giustificato motivo fornito dal lavoratore, alle iniziative di formazione e di riqualificazione, sono irrogate le seguenti sanzioni:

  • In caso di mancata partecipazione, nella misura compresa tra il 25 % ed il 50% delle ore complessive previste per ognuno dei corsi proposti, la sanzione corrisponde alla decurtazione di un terzo delle mensilità del trattamento di integrazione salariale straordinario, ferma restando la sanzione minima che prevede la decurtazione di una mensilità di trattamento di integrazione salariale;
  • In caso di mancata partecipazione, nella misura compresa tra il 50 % e l’80% delle ore complessive previste per ognuno dei corsi proposti, la sanzione corrisponde alla decurtazione della metà delle mensilità del trattamento di integrazione salariale straordinario, ferma restando la sanzione minima individuata che prevede la decurtazione di una mensilità di trattamento di integrazione salariale;
  • In caso di mancata partecipazione, in misura superiore all’80% delle ore complessive previste per ognuno dei corsi proposti, la sanzione corrisponde alla decadenza dal trattamento di integrazione salariale.

Il giustificato motivo di mancata partecipazione alle iniziative di formazione e di riqualificazione ricorre nei seguenti casi:

a) documentato stato di malattia o di infortunio;

b) servizio civile o di leva o richiamo alle armi;

c) stato di gravidanza, per i periodi di astensione previsti dalla legge;

d) citazioni in tribunale, a qualsiasi titolo, dietro esibizione dell’ordine di comparire da parte del magistrato;

e) gravi motivi familiari documentati e/o certificati;

f) casi di limitazione legale della mobilità personale;

g) ogni altro comprovato impedimento oggettivo e/o causa di forza maggiore, cioè ogni fatto o circostanza che impedisca al soggetto di partecipare alle iniziative di formazione e/o riqualificazione, senza possibilità di alcuna valutazione di carattere soggettivo o discrezionale da parte di quest’ultimo.

Cassazione: se il licenziamento per superamento del comporto è nullo, il lavoratore va reintegrato

Al verificarsi di un licenziamento, per il quale il giudice di merito accerti il mancato superamento del periodo di comporto (ex art. 2110, comma 2, c.c.) è necessario procedere alla reintegra nel posto di lavoro.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 27334 del 16 settembre 2022.

Tale reintegra è dovuta a prescindere dal numero dei dipendenti in forza presso l’azienda; questo perché ci si trova in presenza di un recesso adottato in violazione di una norma di legge, per il quale la pena datoriale non può consistere in un mero risarcimento.