Cassazione: i dispositivi di protezione individuale

Il datore di lavoro inadempiente all’obbligo di fornitura e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale (D.P.I.), può essere condannato al risarcimento del danno subito dal lavoratore in conseguenza della sua omissione.

Ne consegue l’importanza di comprendere cosa debba essere effettivamente ricompreso all’interno della categoria dei dispositivi di protezione individuale. In materia è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione con la Sentenza 10128/2023.

La disposizione si inserisce – in continuità – nel solco già tracciato e secondo cui non è corretto limitare la nozione legale di D.P.I. alle sole attrezzature che vengono ideate e realizzate con il fine puntuale di proteggere la salute dei lavoratori da rischi specifici e in forza di caratteristiche tecniche certificate.

Con il termine “dispositivo di protezione individuale normativamente rilevante”, ricorda la Cassazione, deve essere inteso ogni accessorio, complemento o attrezzatura di qualsiasi genere che rappresenti in concreto una protezione rispetto a qualsivoglia rischio che possa mettere a repentaglio la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Secondo i Giudici, limitarsi a far coincidere i dispositivi di protezione individuale con le attrezzature che sono formalmente qualificate come tali, significa non tenere conto delle finalità poste dalla disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, né della natura di diritto fondamentale attribuita alla salute dall’articolo 32 della Costituzione.

Lavoro domestico: esonero contributivo per il rientro dopo la maternità

Il messaggio Inps n. 1552/2023 contiene le indicazioni operative per i datori di lavoro domestico relative alla presentazione della domanda per fruire dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri, per un periodo massimo di un anno, a decorrere dalla data del rientro nel posto di lavoro dopo la fruizione del congedo di maternità,.

L’esonero trova applicazione anche nei confronti delle lavoratrici domestiche madri, purché rispettino la condizione prevista dalla legge di Bilancio 2022, che prevede il rientro della lavoratrice entro il 31 dicembre 2022. Il rientro effettivo al lavoro può anche essere stato posticipato per effetto di eventuali assenze avvenute senza soluzione di continuità rispetto al congedo di maternità (es: ferie, malattia, permessi ecc.). In questi casi, l’esonero spetta sempre che il rientro effettivo al lavoro sia avvenuto entro il 31 dicembre 2022.

Il datore di lavoro può visualizzare l’accoglimento della domanda inserendo il protocollo della domanda di maternità; diversamente, la richiesta sarà messa nello stato di verifica per la definizione della stessa da parte della Sede territorialmente competente.

Una volta terminata la procedura di presentazione della domanda di esonero contributivo, è possibile scaricare la ricevuta in formato PDF e visualizzare tutte le informazioni in relazione anche allo stato di lavorazione.

In caso di accoglimento dell’istanza di esonero, per i trimestri per i quali è già stata versata la contribuzione in misura piena, è prevista la restituzione al datore di lavoro del 50% della quota a carico della lavoratrice madre da rimborsare alla stessa, previa presentazione della relativa istanza.

Unilav: l’indicazione della motivazione della cessazione non è vincolante

Se il datore di lavoro ritiene non fondate le motivazioni alla base delle dimissioni per giusta causa rese da un proprio dipendente può, comunque, procedere alla spedizione dell’unilav di cessazione del rapporto valorizzando il campo della motivazione con la dicitura dimissioni giusta causa, senza che ciò sia un vincolo nei suoi confronti.

Diversamente, può procedere comunicando agli Enti che la fattispecie è da considerarsi quale dimissioni volontarie, per far sì che non vengano erogate le collegate prestazioni a sostegno del reddito.

Il lavoratore dovrà presentare il proprio ricorso per accertare la sussistenza della giusta causa e, in caso affermativo, il datore di lavoro dovrà procedere al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Questo il contenuto dell’Ordinanza n. 22365 della Cassazione Civile – Sezione lavoro.

Whistleblowing: aziende ai blocchi di partenza

Pubblicato in G.U. il Dlgs 24/2023 che introduce l’applicazione delle nuove regole sul whistleblowing, ovvero, le procedure aziendali volte ad agevolare la segnalazione di possibili illeciti garantendo l’anonimato del soggetto che fornisce le informazioni.

Sono destinatarie delle norme:

  • le aziende private che hanno impiegato – con riferimento all’ultimo anno – una media di lavoratori superiore a 49;
  • le aziende private che pur non raggiungendo la soglia dimensionale di cui al punto precedente – con riferimento all’ultimo anno – tuttavia si occupano di servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio o del finanziamento del terrorismo, sicurezza dei trasporti e tutela dell’ambiente, e coloro che adottano modelli di organizzazione e gestione in base al Dlgs 231/2001.

Il decreto entra in vigore dal 15 luglio 2023 e ha due scadenze differenziate:

  • per le aziende private che hanno impiegato – con riferimento all’ultimo anno – una media di lavoratori superiore a 249, la decorrenza è immediata al 15/07/2023;
  • per le aziende private che hanno impiegato – con riferimento all’ultimo anno – una media di lavoratori pari o inferiore a 249, la decorrenza è posticipata al 17 dicembre 2023.

Tutti questi soggetti sono tenuti a predisporre appositi canali di segnalazione interni in grado di garantire la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione.

Le imprese potranno gestire in maniera autonoma tali canali (affidandoli ad un soggetto o a un ufficio aziendale interno, autonomo e costituito da personale specificamente formato), oppure potranno avvalersi di soggetti esterni, dotati anch’essi di personale adeguatamente formato in materia.

Le segnalazioni potranno essere rese in forma scritta (anche con l’utilizzo di appositi strumenti informatici), in forma orale (attraverso linee telefoniche preposte o sistemi di messaggistica ad hoc) ovvero, su richiesta specifica del segnalante, attraverso incontri diretti.

Il Decreto fissa anche le modalità con cui dovrà essere comunicata l’esistenza dei canali di segnalazione: le imprese dovranno pubblicare un’informativa chiara ed esplicativa circa le procedure e i presupposti per effettuare le segnalazioni, sia interne, sia esterne, che siano facilmente accessibili sul luogo di lavoro e sul sito internet. Tali procedure dovranno garantire la riservatezza del segnalante.

Inoltre, dovranno essere rilasciati ai segnalanti (nel termine di sette giorni dalla ricezione della segnalazione) un avviso di ricevimento della segnalazione e (nel termine di tre mesi) un primo riscontro in merito allo stato di avanzamento della procedura.

Le condotte oggetto delle segnalazioni potranno riguardare tutte le condotte illecite di natura amministrativa, contabile, civile o penale lesive dell’interesse pubblico o dell’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, anche se previste dal diritto comunitario.

Le imprese che non provvedono entro le scadenze previste rischiano sanzioni amministrative pecuniarie di importo variabile in base alle singole fattispecie (da 5mila a 30mila euro nel caso di attività ritorsive a danno del segnalante, da 10mila a 50mila euro in caso mancata implementazione dei canali di segnalazione).

AE: servizio di ricarica per auto elettriche private dei dipendenti e welfare aziendale

L’Agenzia delle Entrate pubblica la risposta n. 329 del 10 giugno 2022 che  fornisce precisazione in materia circa il corretto trattamento tributario del benefit di ricarica gratuita per i dipendenti che acquisteranno auto elettriche ad uso privato, stipulando convenzioni con soggetti terzi fornitori delle ricariche.

Nel caso in esame l’iniziativa sarebbe stata offerta alla generalità dei dipendenti con la sottoscrizione di un accordo aziendale.

L’istante chiede se il benefit vada assoggettato a tassazione come reddito di lavoro dipendente o se possa essere ricondotto nell’ambito delle iniziative di welfare aziendale escluse da imposizione fiscale.

L’AE, nella sua risposta parte dal disposto dell’articolo 51, comma 1, del Tuir, secondo cui costituiscono reddito di lavoro dipendente «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».

La disposizione include nel reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro (c.d. “principio di onnicomprensività“), salve le tassative deroghe contenute nei successivi commi del medesimo articolo 51 del Tuir.

Nello specifico, il comma 2, lettera f), del citato articolo 51 del Tuir dispone che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente «l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità adisposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti» per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.

Secondo l’AE perché sia possibile escludere un componente dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, devono verificarsi congiuntamente le seguenti condizioni:

  • le opere e i servizi devono essere messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti;
  • le opere e i servizi devono riguardare esclusivamente erogazioni in natura e non erogazioni sostitutive in denaro;
  • le opere e i servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto di cui all’articolo 100,comma 1, del Tuir.

Tale interpretazione è è già stata prospettata in precedenti documenti (cfr. risoluzione 10 marzo 2004, n. 34/E, circolare 15 giugno 2016, n.28/E, paragrafo 2.1, e risoluzione 25 settembre 2020, n. 55/E).

Le opere e i servizi contemplati dalla norma possono essere messi direttamente a disposizione dal datore di lavoro o da parte di strutture esterne all’azienda, a condizione che il dipendente resti estraneo al rapporto economico che intercorre tra l’azienda e il terzo erogatore del servizio.

Pertanto, si ritiene che – in linea di principio – la disposizione di cui all’articolo 51, comma 2, lettera f) del Tuir possa applicarsi anche nella ipotesi in cui il datore di lavoro, allo scopo di promuovere un utilizzo consapevole delle risorse ed atteggiamenti responsabili dei dipendenti verso l’ambiente, attraverso il ricorso alla mobilità elettrica, offra ai propri dipendenti il servizio di ricarica dell’auto elettrica, dato che è ravvisabile una finalità di educazione ambientale perseguita dall’azienda.

In relazione alla fattispecie proposta dall’istante, è necessario considerare che il servizio di ricarica delle auto elettriche che la Società intende offrire ai propri dipendenti, secondo quanto affermato, si inserisce in un più ampio quadro di interventi posti in essere dal Gruppo di cui la Società fa parte, finalizzati ad informare e sensibilizzare i vari interlocutori, interni ed esterni al Gruppo stesso, «su importanti temi legati alla cultura della sostenibilità: dall’educazione ambientale, al consumo responsabile, alla promozione della sicurezza e della salute».

In riscontro alla richiesta di documentazione integrativa, l’Istante ha precisato che l’accordo aziendale è ancora in fase di predisposizione e che non ha ad oggi stipulato una convenzione con un soggetto terzo.

In conclusione, nel presupposto che il servizio di ricarica gratuito che l’Istante intende offrire per sei mesi a tutti i dipendenti che proveranno di avere acquistato auto elettriche, entro un determinato periodo di tempo, utilizzando ove possibile l’energia elettrica prodotta dai propri impianti fotovoltaici o idroelettrici (ovvero, in alternativa, laddove ciò non sia praticabile, stipulando una convenzione con un soggetto terzo fornitore del servizio di ricarica), sia limitato in termini di importo e/o di KW totali di ricariche effettuabili al fine di evitare abusi e soddisfi il requisito della finalità educativa previsto dall’articolo 51, comma 2, lettera f), del Tuir, si ritiene che il relativo benefit possa beneficiare del regime di esclusione dal reddito di lavoro dipendente.

Appalto di manodopera: la Cassazione individua i tratti distintivi

La Sentenza n. 4828/2023 della Cassazione Civile Sezione Lavoro, fissa alcuni elementi distintivi che caratterizzano l’appalto di manodopera.

I Giudici affermano che l’appalto di manodopera è configurabile:

  • Sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal comma 3 dell’art. 1 L. n. 1369 del 1960 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante),
  • Sia quando il soggetto interposto non possegga una gestione di impresa a proprio rischio e di un’autonoma organizzazione. Tale presupposto deve essere verificato facendo riferimento alle prestazioni affidategli in concreto.

Peraltro, con riferimento agli appalti c.d. endoaziendali, ovvero quelli caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, il divieto di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1 opera tutte le volte in cui l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore stesso i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.

Inps: NASpI anche per le dimissioni del padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità

La Circolare Inps n. 32/2023 afferma che, viste le modifiche apportate agli articoli 54 e 55 del Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità dal D.lgs. n. 105 del 2022 – la cui finalità è quella di rafforzare le tutele per il lavoratore padre – anche in caso di dimissioni intervenute durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento e fino al compimento di un anno di età del bambino,  il lavoratore padre che ha fruito del congedo di paternità obbligatorio e/o del congedo di paternità alternativo ha diritto all’indennità di disoccupazione NASpI qualora ricorrano tutti gli altri requisiti legislativamente previsti.

Nello specifico, le modifiche citate dalla Circolare prevedono quanto segue:

  • Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino”. […] “In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui agli articoli 27-bis e 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino”. Questa ultima disposizione ha esteso la tutela anche all’ipotesi di fruizione del congedo di paternità obbligatorio di cui al citato articolo 27-bis;
  • In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso”. […] “La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità”. In conseguenza di ciò, in assenza di specifica qualificazione dello stesso, la tutela è da intendersi rivolta al lavoratore padre sia nel caso di fruizione del congedo di paternità obbligatorio che nel caso di fruizione del congedo di paternità alternativo.

L’Inps ricorda che le domande di indennità di disoccupazione NASpI presentate da lavoratori padri a seguito di dimissioni intervenute durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento, e respinte nelle more della pubblicazione della presente circolare, possono essere oggetto di riesame, su istanza di parte da trasmettere alla Sede INPS territorialmente competente, in attuazione delle indicazioni di cui alla presente circolare.

Indennità di preavviso e contribuzione: la pronuncia della Cassazione

In merito alla rinuncia da parte dei lavoratori alla indennità sostitutiva del preavviso, è facoltà delle parti trovare un accordo contestualmente alla sottoscrizione di una conciliazione in sede protetta. E’ il contenuto dell’Ordinanza n. 8913/2023 della Corte di Cassazione.

I Giudici della Suprema Corte evidenziano che le somme erogate in adempimento della transazione trovano titolo in essa e non nel rapporto di lavoro; questo, tuttavia, non sottrae all’Inps la possibilità di chiedere il versamento della contribuzione relativa al preavviso, poiché la transazione non può incidere sul distinto rapporto previdenziale e la rinuncia al diritto non è opponibile all’Istituto.

Costo medio orario del lavoro per i dipendenti da imprese edili

Pubblicato il  Decreto Direttoriale n. 12 del 5 aprile 2023, emanato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, concernente la determinazione del costo medio orario del lavoro a livello provinciale, per il personale dipendente da imprese del settore dell’edilizia, attività affini e delle cooperative.

Le tabelle rilevano, distintamente, il costo del lavoro per gli operai e per gli impiegati.

Il costo del lavoro determinato ai sensi del presente decreto è suscettibile di oscillazioni in relazione a:

  1. benefici (contributivi, fiscali o di altra natura) di cui il datore di lavoro usufruisce ai sensi delle disposizioni vigenti;
  2. oneri derivanti da interventi relativi a infrastrutture, attrezzature, macchinari e altre misure connesse all’attuazione delle previsioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Leggi il Decreto Direttoriale 12/2023

Accesso alla posta elettronica di dipendenti e collaboratori: il parere del Garante Privacy

Il legittimo interesse, da parte del datore di lavoro, a trattare dati personali per difendere un proprio diritto in giudizio non annulla il diritto dei lavoratori alla protezione dei dati personali.

E’ la motivazione con cui il Garante Privacy ha sanzionato un’azienda che aveva mantenuto attivo l’account di una collaboratrice, visionandone e inoltrandone i messaggi verso un’altra casella di posta elettronica.

Secondo l’azienda, la collaboratrice aveva tentato di contattare per conto della cooperativa di cui faceva parte, i nominativi di potenziali clienti acquisiti durante una fiera cui aveva partecipa per conto dell’azienda committente.

L’azienda – spinta dal timore di perdere la potenziale clientela – aveva preso visione dei messaggi di post elettronica .

Secondo il parere del Garante, un tale trattamento dei dati personali non può essere giustificato né dall’esigenza di mantenere i rapporti con i clienti, né dall’interesse a difendere un proprio diritto in giudizio. L’azienda avrebbe dovuto semplicemente attivare un sistema di risposta automatico, con l’indicazione di indirizzi alternativi da contattare, senza prendere visione delle comunicazioni arrivate sull’account.

In aggiunta, è stato rilevato che l’azienda – in qualità di titolare del trattamento – non aveva fornito all’interessata né idoneo riscontro alla richiesta di cancellazione della casella e-mail né l’informativa sul trattamento dati, non rilevando il fatto che il contratto di assunzione non fosse stato ancora firmato.