Proroga divieto licenziamenti

La proroga del divieto dei licenziamenti al prossimo 31 gennaio è contenuta all’interno del c.d. DL Ristori.

Secondo quanto previsto dal Decreto, fino al prossimo 31 gennaio non possono essere oggetto di licenziamento le medesime tipologie dei divieti precedenti e cioè i recessi economici (di tipo individuale o collettivo):

  • Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dal numero dei dipendenti;
  • Licenziamento collettivo.

Con riferimento alle procedure già pendenti avviate dopo il 23 febbraio 2020, le stesse rimangono sospese, ad esclusione delle ipotesi in cui i lavoratori coinvolti da tali procedure, impiegati in un appalto, vengano riassunti dal nuovo appaltatore in virtù di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto dell’appalto stesso.

Il decreto Ristori identifica nel 31 gennaio 2021 il termine oltre il quale – salvo ulteriori proroghe – sarà possibile riprendere le procedure di licenziamento, fornendo un dato più chiaro rispetto al testo del Dl 104/2020.

Con la pubblicazione della Legge di Bilancio per il 2021, tuttavia, potremmo assistere ad un ulteriore slittamento dei termini.

Licenziamento gmo e repechage: la pronuncia della Cassazione

La Corte di Cassazione si pronuncia in tema di obbligo di repechage al verificarsi di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte del datore di lavoro.

Nello specifico, il testo della sentenza 16795 del 06.08.2020 afferma che al verificarsi della fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non è necessario inserire all’interno della lettera di licenziamento l’esito della procedura di repechage.

Le motivazioni fornite dai Giudici si basano sul fatto che tale esposizione non costituisce, di per sé, fondamento di validità del licenziamento, ma configura – eventualmente – una prova da fornire in giudizio.

Distacco transnazionale – Le novità

Il DL 122/2020 – in vigore dal 30 settembre 2020 – introduce alcune novità in materia di distacco transnazionale, vediamo le principali.

  • La normativa sul distacco transnazionale si applica anche alle agenzie di somministrazione aventi sede in uno Stato membro diverso dall’Italia che distaccano uno o più lavoratori presso un’impresa utilizzatrice con sede nel medesimo o in un altro Stato membro – nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi diversa dalla somministrazione – presso una propria unità produttiva o altra impresa che ha sede in Italia.
  • Le norme sul distacco valgono anche per le agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in uno Stato membro diverso dall’Italia che distaccano lavoratori – nel territorio di un altro Stato membro – diverso da quello in cui ha sede l’agenzia di somministrazione.
  • Ai rapporti di lavoro tra imprese e lavoratori distaccati si applicano, se più favorevoli, le stesse condizioni di lavoro e di occupazione previste in Italia da disposizioni normative e contratti collettivi, per i lavoratori che svolgono prestazioni di lavoro subordinato analoghe nel luogo di distacco.
  • Introdotto l’articolo 4-bis il quale prevede che, se il periodo effettivo di distacco supera dodici mesi ai lavoratori distaccati si applicano, se più favorevoli, oltre alle condizioni di lavoro e di occupazione sopra elencate, tutte le condizioni di lavoro e di occupazione previste in Italia da disposizioni normative e dai contratti collettivi nazionali e territoriali stipulati da organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, a eccezione di quelle concernenti le procedure e le condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, le clausole di non concorrenza e la previdenza integrativa di categoria. Tale periodo può essere portato fino a 18 mesi in caso di notifica motivata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte del prestatore di servizi.

L’interesse al distacco nella crisi di impresa

L’Ordinanza 18959/2020 delle Corte di Cassazione stabilisce che – qualora si verifichi la fattispecie della crisi di impresa – è legittimo il ricorso al distacco.

Alla base della decisione dei Giudici si pone il concetto che l’interesse del distaccante può risiedere in motivi di natura non economica o patrimoniale e, nel caso specifico della crisi di impresa, in motivazioni di tipo solidaristico.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la fattibilità del distacco durante la crisi di impresa risiede nell’obiettivo di non disperdere il patrimonio professionale dei dipendenti. Inoltre, l’operazione aveva una temporaneità ben definita.

Per converso, è importante che il distacco non si concretizzi in una mera somministrazione di manodopera; in questo caso l’istituto sarebbe da considerarsi non lecito.

Rimborso del ticket NASpI se il dipendente si fa licenziare

Il tribunale di Udine – con la sentenza n. 106/2020 del 30.09.2020 – ha stabilito che, se l’azienda viene indotta a licenziare il dipendente per assenza ingiustificata, ha diritto a ottenere dal lavoratore stesso il risarcimento del danno corrispondente all’importo del ticket Naspi versato all’Inps.

Nel caso di specie il lavoratore aveva manifestato la volontà di interrompere il rapporto di lavoro ma, anziché dimettersi, ha chiesto all’azienda di essere formalmente licenziato al fine di poter beneficiare della Naspi. Al rifiuto da parte dell’impresa, il dipendente si è assentato in modo ingiustificato, portando il datore di lavoro a procedere al licenziamento disciplinare per giusta causa.

L’azienda, tramite opposizione al decreto ingiuntivo di pagamento delle retribuzioni, ha fatto richiesta di risarcimento del costo del ticket Naspi sostenuto esclusivamente a causa della condotta omissiva attuata dal dipendente.

Il giudici di merito ha revocato il decreto ingiuntivo ed ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nei confronti dell’azienda. La decisione si fonda sull’accertamento della provenienza della volontà risolutiva del rapporto di lavoro. Per il giudice – nel corso del giudizio – si è dimostrato che l’iniziativa di cessare il rapporto di lavoro proveniva esclusivamente dal dipendente che, in seguito al rifiuto da parte dell’azienda, si è deliberatamente assentato dal posto di lavoro, con il solo intento di farsi licenziare per poter beneficiare della Naspi.

Cassazione: l’implicita accettazione del demansionamento

L’ordinanza n. 16594/2020 della Cassazione afferma che la semplice tolleranza da parte del dipendente all’attribuzione di compiti meno qualificanti rispetto al proprio livello di inquadramento non è, di per sé, dimostrazione di accettazione del demansionamento.

L’acquiescenza tacita si verifica solo quando è presente un comportamento inequivocabilmente incompatibile con la volontà del soggetto di impugnare il provvedimento medesimo.

Pertanto, non si è in presenza di accettazione del demansionamento quando di riscontra un atteggiamento di mera tolleranza e neppure lo è il compimento di atti resi necessari od opportuni, nell’immediato, dall’esistenza del suddetto provvedimento.

In distacco fittizio è perseguibile anche penalmente

La sentenza della Corte di Cassazione n. 23921/2020 afferma che, in caso di distacco fittizio di lavoratori, la società è responsabile sotto il profilo penale.

Nel caso in esame, la società distaccante si è rivelata essere una c.d. scatola vuota, senza mezzi propri e costituita esclusivamente per procedere al distacco dei lavoratori. La stessa, inoltre, aveva omesso il versamento contributivo permettendo, così, alla società distaccataria di aumentare l’organico aziendale senza dover sostenere costi aggiuntivi di tipo previdenziale e fiscale. In aggiunta, la società distaccataria veniva esonerata dalla responsabilità solidale da parte degli enti previdenziali creditori, generando un ulteriore aumento del proprio profitto.

Alla luce di quanto sopra esposto, i Giudici di Cassazione – confermando la pronuncia del Giudice di legittimità – affermano che se un’azienda fa figurare illegittimamente i propri dipendenti come lavoratori distaccati per ottenere un risparmio contributivo e previdenziale, si verificano gli estremi del reato di truffa e non una semplice infrazione della disciplina ordinaria in materia di distacco dei lavoratori.

Rinnovato il Ccnl del settore legno industria

E’ stato firmato il rinnovo del contratto tra Federlegno Arredo e Fillea Cgil, Filca Cisl, Feneal Uil; di seguito le principali novità.

  • Il nuovo contratto prevede un aumento pari a circa 70 euro per il livello medio e 50 per il livello base. L’erogazione è prevista in due tranches: la prima da settembre 2020 e la seconda da gennaio 2021.
  • Le parti sociali hanno trovato un accordo anche sulla quota di contratti flessibili: le aziende potranno raggiungere il 45% dei contratti a tempo indeterminato in essere al 31 dicembre dell’anno precedente all’assunzione, scegliendo liberamente la quantità di contratti a termine e in somministrazione.
  • La contrattazione ha prodotto anche risultati in materia di diritti dei lavoratori ponendo l’accento sulle donne vittime di violenza e sull’integrazione salariale del 30% a carico delle aziende per le lavoratrici in maternità facoltativa.
  • Viene riconosciuto un aumento della maggiorazione per i lavoratori turnisti che non possono usufruire della pausa aggiuntiva di mezz’ora a quella per legge (10 minuti).
  • Potenziato anche il sistema della sicurezza dei lavoratori in caso di pandemia: Rsu, Rls e responsabile delle aziende formeranno comitati paritetici in caso di Covid 19 o altre pandemie, definendo le misure di prevenzione in azienda.
  • Al fine di incentivare la contrattazione di secondo livello, l’elemento di garanzia retributiva è stato aumentato a 25 euro al mese per le aziende che non sviluppano tale strumento.
  • Potenziamento anche in materia di previdenza complementare: previsto un aumento a carico azienda di +0,20% (0,10% a gennaio 2021 e 0,10% gennaio 2022) dei contributi, oltre al riconoscimento di 100 euro di una tantum per tutti i lavoratori destinata al fondo Arco per promuoverne l’adesione.

In merito al rinnovo contrattuale le parti sociali dichiarano che è stata difesa la funzione salariale del contratto nazionale, confermando la doppia pista prevista dal passato rinnovo contrattuale che si intende integralmente confermato, con aumenti superiori all’inflazione che incideranno su tutti gli istituti contrattuali. L’accordo conferma la terza via per gli incrementi economici che prevede una quota fissa e poi una rivalutazione ogni gennaio su un montante salariale reale che comprende paga base, contingenza, edr e tre aumenti periodici di anzianità. Il contratto del legno arredo diventa così quello con l’aumento più alto nel manifatturiero tra quelli finora firmati.

AE: precisazioni sui piani di welfare

La Risoluzione 55/E del 25.09.2020 fornisce ulteriori precisazioni in materia di piani di welfare aziendale.

Oggetto della Risoluzione è il doppio quesito posto da un’azienda; in particolare si chiede se:

  1. Ai benefit compresi nel Piano welfare dei regolamenti sia possibile applicare il regime di esclusione da imposizione sul reddito di lavoro dipendente;
  2. Il costo sostenuto dalla stessa per l’anno d’imposta 2019 sia interamente deducibile, ai fini IRES, senza incorrere nella limitazione della deducibilità del solo 5 per mille prevista dal Tuir.

Nello specifico, il piano dell’azienda istante ha le seguenti caratteristiche:

  • E’ rivolto ai lavoratori appartenenti all’area aziendale “Service” e a quelli il cui luogo di lavoro è identificato in “Headquarter”,
  • Tali lavoratori devono avere almeno 2 anni di anzianità di servizio in azienda, alla data del 31/12/2018, e un orario di lavoro giornaliero di almeno 6 ore;
  • Il Piano welfare è attivato con due distinti regolamenti aziendali che, al raggiungimento di un obiettivo minimo di fatturato per l’annualità 2019, riconosce ai citati dipendenti un credito welfare per l’anno 2020 da utilizzare attraverso una specifica piattaforma web che consentirebbe ai destinatari la fruizione di utilità specificatamente individuate. L’importo del credito welfare riconosciuto ai dipendenti è graduato per livello di inquadramento e anzianità di servizio, e riparametrato in caso di fatturato inferiore all’obiettivo prestabilito;
  • I regolamenti fissano l’arco temporale, 15 gennaio/30 novembre 2020, quale periodo per l’utilizzo del credito welfare, prevedendo che quanto non utilizzato nel predetto periodo, sarà versato alla posizione individuale di previdenza complementare o azzerato;
  • Il contenuto del Piano è obbligatorio ed immodificabile per tutta la sua durata e prevede l’accesso ad un medesimo paniere di benefit per entrambe le categorie di lavoratori.

Con riferimento al primo quesito, l’Agenzia delle Entrate, analizza puntualmente tutti i servizi messi a disposizione dal piano di welfare aziendale, riconducendoli o meno – a seconda delle caratteristiche – all’area di imposizione reddituale.

Per quanto riguarda, invece, la deducibilità integrale ai fini Ires l’AE ricorda che questa non costituisce criticità laddove le utilità ricomprese nel Piano, e offerte ai dipendenti, vengano riconosciute in ragione di contratto, accordo o regolamento aziendale che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale.

Poiché i regolamenti aziendali oggetto di esame precisano che “In quanto atto negoziale, ancorché unilaterale, le erogazioni ivi previste costituiscono una obbligazione nei confronti dei lavoratori”, ne consegue che la società non può esimersi dall’erogazione dei benefit previsti nel Piano welfare in esame. Pertanto, è applicabile l’articolo 95 del Tuir ai fini della deducibilità – senza alcuna limitazione – dei costi sostenuti dalla Società istante.

Altro contenuto rilevante del documento è la posizione dell’AE sui requisiti che deve avere il piano welfare perchè sia possibile applicare l’agevolazione fiscale:

  • se il piano incentiva la performance individuale non è possibile avere l’esenzione fiscale poichè lo stesso risponde a finalità retributive;
  • per poter applicare l’esenzione fiscale l’erogazione di beni e servizi deve essere collegata alle performance aziendali;
  • i benefit possono prevedere un’erogazione graduale stabilita sulla base della retribuzione annua lorda, ma l’esenzione fiscale risulta incompatibile con una ripartizione effettuata in base alle presenze/assenze dei lavoratori.

Tale posizione si pone in contrasto con un precedente orientamento sia dell’AE stessa che della Direzione regionale Lombardia secondo cui:

  • sarebbe possibile prevedere piani di welfare legati alla premialità, purché offerti alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti;
  • l’articolazione del piano welfare, nel fissare i criteri di accesso ai servizi disponibili collegandoli ad obiettivi di performance sia aziendale che individuale, non si pone in contrasto con la finalità delle norme agevolative se non è volto ad agevolare esclusivamente alcuni e ben individuati lavoratori.

Leggi la Risoluzione AE n. 55/E del 25.09.2020

 

INL: Chiarimenti sulla convalida delle dimissioni del padre con figlio minore di 3 anni

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro pubblica la Nota n. 749/2020 per fornire chiarimenti in merito alla procedura di convalida delle dimissioni del lavoratore padre con figlio minore di 3 anni.

Nello specifico, il documento stabilisce che la procedura di convalida debba avvenire presso il servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio, a prescindere dalla fruizione del congedo di paternità.

Inoltre, poiché ai fini della convalida delle dimissioni, il datore di lavoro deve essere a conoscenza della situazione familiare del lavoratore – anche in virtù di comunicazioni o richieste di diverso tenore – si ritiene che nel corso della procedura si renda necessaria la verbalizzazione di una dichiarazione resa dal lavoratore il quale afferma che il datore di lavoro è a conoscenza della propria situazione familiare.

Leggi la Nota INL n. 749/2020