Autonomia funzionale e preesistenza del ramo nel trasferimento d’azienda: recente pronuncia di Cassazione

La Corte di Cassazione – con Sentenza n. 438/2021 – si pronuncia in tema di autonomia funzionale ed organizzativa e relativa preesistenza del ramo in caso di trasferimento d’azienda.

Secondo i Giudici – ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c. – si qualifica come elemento costitutivo della cessione la c.d. autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, non essendo ostativo a tal fine che tale servizio sia espletato in favore della stessa cedente poi divenuta committente.

Nel caso di specie, alcuni lavoratori hanno impugnato la cessione del ramo di azienda tra due società con passaggio del loro rapporto di lavoro alla cessionaria, sostenendone la nullità e/o inefficacia.

Il giudizio di secondo grado – confermando la pronuncia di merito – sosteneva la legittimità dell’operazione messa in atto dalle due società configurando, pertanto, un trasferimento di ramo di azienda.

Tale giudizio è giustificato:

  • Dal punto di vista oggettivo dalla sussistenza – precedente all’atto di cessione – di una precisa autonomia funzionale del ramo;
  • Dal punto di vista soggettivo, nella puntuale individuazione da parte dei contraenti dei beni da trasferire come unitario compendio connesso con l’attività economica trasferita, a nulla rilevando che il servizio di manutenzione venisse quindi espletato dalla cessionaria in favore della cedente, rimasta proprietaria degli immobili.

Inoltre, secondo il parere della Corte territoriale, sussisteva una reale organizzazione delle prestazioni di lavoro da parte dell’appaltatore finalizzata al raggiungimento di un risultato produttivo autonomo, indice di un appalto genuino.

I lavoratori propongono ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso. La decisione si basa sul concetto che sia la normativa comunitaria che quella nazionale si pongono come fine quello di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva.

Nello specifico, viene richiesto che il ramo di azienda oggetto del trasferimento costituisca una entità economica avente propria identità intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria. Inoltre, l’art. 2112 c.c., comma 5, fa riferimento alla parte di azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata.
Sulla base di questo concetto, i Giudici riconoscono il configurarsi della cessione di ramo di azienda poiché – all’atto dello scorporo dal complesso cedente – il ramo ceduto aveva già una propria autonomia funzionale ed era in grado di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, anche rispetto ad un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva, purché dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili.
In conclusione, la Corte afferma che, nel caso in esame, non rileva il fatto che il servizio di manutenzione degli immobili svolto dalla società cessionaria venisse effettuato, successivamente a detto trasferimento di ramo, anche con riguardo ai beni della società cedente, divenuta committente del servizio, rigettando il ricorso dei lavoratori.

Congedi straordinari 2021

A partire dal 1° gennaio 2021, i congedi straordinari previsti riguardano:

  • Sospensione dell’attività di didattica in presenza delle classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado, con sede nelle regioni con scenario di massima gravità e rischio elevato (zone rosse);
  • Sospensione dell’attività di didattica in presenza di qualsiasi scuola, di ogni ordine e classe, in qualsiasi regione, e alla chiusura di centri diurni a carattere assistenziale ovunque collocati, ma limitatamente ai genitori di figli con disabilità grave accertata ai sensi dell’articolo 4 comma 1, della legge 104/1992.

La norma non indica specificatamente il periodo di utilizzo dei congedi, ma il termine di decorrenza è stato individuato dall’Inps nella circolare 2/2021 nel 9 novembre 2020. Per i giorni antecedenti si poteva utilizzare il congedo straordinario del figlio convivente under 14 previsto dall’articolo 21-bis del Dl 104/2020. Il termine finale non viene precisato né dalla legge, né dalla circolare Inps, pertanto, si potrebbe suppone che:

  • Quello che i figli disabili sia aperto;
  • Quello riservato alla sospensione della didattica nelle zone rosse va desunto utilizzando i riferimenti normativi contenuti nell’articolo 22-bis del Dl 137/2020, ovvero le ordinanze del ministero della Salute emesse in base all’articolo 3 del Dpcm 3 novembre 2020 e dell’articolo 19-bis del medesimo decreto 137, nonché del Dpcm del 3 dicembre 2020 (come da circolare Inps 2/2021). Questo riferimento dovrebbe portare la scadenza del congedo a coincidere con quello del provvedimento (15 gennaio 2021).

I destinatari di entrambi i congedi sono solo i lavoratori dipendenti, genitori, anche affidatari o collocatari, che non possono svolgere la prestazione in modalità di lavoro agile che siano:

  • Titolari di un rapporto di lavoro in corso che, laddove dovesse interrompersi, comporta il conseguente venir meno del diritto al congedo, salvo l’obbligo del beneficiario di comunicarlo all’Inps;
  • Non impiegati in modalità di lavoro agile.

Non è invece più richiesto il requisito della convivenza con il figlio, ma solo l’utilizzo alternativo del congedo (negli stessi giorni) con l’altro genitore.

È consentita la contemporanea fruizione, negli stessi giorni, da parte di entrambi i genitori per due figli (di entrambi i genitori), a condizione che uno dei due figli sia disabile grave.

L’assenza – che non può superare il periodo della sospensione della didattica – è retribuita con un’indennità a carico dell’Inps pari al 50% della retribuzione calcolata secondo le medesime regole previste per il congedo parentale e coperta in modo figurativo anche dal punto di vista contributivo.

L’indennità è riconosciuta solo per le giornate lavorative che ricadono all’interno del periodo di congedo richiesto (dal lunedì al sabato, eccetto le giornate festive).

Corte di Giustizia UE: il distacco transnazionale

La Grande Sezione della Corte di Giustizia UE è stata chiamata a pronunciarsi in tema di distacco transnazionale dei lavoratori fornendo una pronuncia rilevante nell’ambito del trasporto su strada, settore caratterizzato da un crescente spostamento dei lavoratori.

Il caso in esame riguarda l’applicabilità del Ccl Trasporto merci utilizzato nei confronti dei dipendenti della società capogruppo (con sede nei Paesi Bassi) anche ai dipendenti delle sedi operative con sede rispettivamente in Germania e in Ungheria , stanti le previsioni i della Direttiva UE 96/71 sul distacco dei lavoratori.

La Sezione – riprendendo la definizione di lavoratore distaccato fornita dalla Direttiva che recita: il lavoratore che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente – ne definisce i confini e integra tale definizione affermando che un lavoratore può definirsi distaccato qualora lo svolgimento del suo lavoro presenti, durante il limitato periodo in questione, un legame sufficiente con il territorio e che l’esistenza di un simile legame è determinata nell’ambito di una valutazione globale di elementi quali la natura delle attività svolte dal lavoratore interessato in detto territorio, il grado di intensità del legame delle attività di tale lavoratore con il territorio di ciascuno Stato membro nel quale egli opera, nonché la parte che dette attività vi rappresentano nell’insieme del servizio di trasporto.

Con riferimento specificatamente all’attività del trasporto su strada ed alle sue caratteristiche e con particolare riguardo al concetto di mobilità dei lavoratori sottolinea che hanno rilevanza attività perimetrali quali carico e scarico merci e manutenzione e pulizia del mezzo, se sono svolte dall’autista e non da soggetti terzi. Per converso, è da escludere il concetto secondo cui il transito nel territorio di uno Stato membro sia sufficiente per creare un legame con lo stesso.

Per la qualificazione del lavoratore distaccato i parametri da considerare non sono l’esistenza di un vincolo di gruppo tra le imprese, né il fatto che il lavoratore riceva istruzioni inerenti le sue missioni o che inizi e concluda le stesse presso la sede dell’impresa di altro Stato membro. Il motivo risiede nel fatto che questi non sono fattori sufficienti per ritenere che egli sia stato distaccato in tale Stato, soprattutto se lo svolgimento del lavoro non presenta un legame sufficiente col territorio, da determinarsi sulla base di elementi ulteriori.

Da quanto espresso nella Sentenza, i Giudici creano il presupposto da cui discende l’applicabilità delle disposizioni al lavoratore distaccato delle tutele di miglior favore in vigore nello Stato membro dove l’attività viene concretamente svolta.

Cassazione: come stabilire la voce di tariffa Inail per le imprese con più lavorazioni

La Cassazione si pronuncia (Sentenza 27550/2020) sulle verifiche procedurali da operare per determinare quale voce di tariffa Inail sia applicabile in caso di più lavorazioni svolte.

Il controllo preliminare deve essere svolto circa l’individuazione della lavorazione che assume il carattere di lavorazione principale.

Dopodiché si passa all’analisi delle altre lavorazioni per comprendere se queste siano o meno in correlazione tecnica e funzionale con quella principale. In caso affermativo è possibile attribuire anche ad esse la voce tariffaria della lavorazione principale.

Ciò che caratterizza la fase di verifica è la struttura di subordinazione tra le diverse lavorazioni svolte per stabilire se le attività subordinate determinino una realizzazione più agevole degli obiettivi aziendali in maniera più veloce e completa e se i beni/servizi prodotti siano necessari e imposti dalla lavorazione principale.

Se non è possibile isolare i singoli cicli di operazioni di cui la lavorazione aziendale è composta, significa che le attività devono essere considerate unitariamente ai fini dell’individuazione della tariffa Inail da applicare, che sarà una sola.

Per i Giudici il concetto di lavorazione ricomprende in sé tutte le operazioni complementari e sussidiarie che il datore di lavoro svolge in connessione operativa con l’attività principale anche se sono effettuate in luoghi diversi.

L’Inl non è competente per l’accertamento di violazioni del committente negli appalti labour intensive

Nella Nota 1037/2020 l’INL afferma che non rientrano tre le sue competenze:

  • L’accertamento della violazione dei nuovi obblighi a carico del committente di appalti labour intensive,
  • L’irrogazione delle relative sanzioni.

Secondo quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate le norme in materia soddisfano la necessità di contrastare il “fenomeno consistente nell’omesso o insufficiente versamento, anche mediante l’indebita compensazione, delle ritenute fiscali sui percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilati” attraverso la creazione di sistemi di controllo posti a carico del committente di appalti  labour intensive.

In aggiunta, la violazione degli obblighi previsti in capo al committente è sanzionata con una somma pecuniaria pari a quella irrogata all’impresa affidataria per la non corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tardivo versamento delle stesse, senza possibilità di compensazione.

La sanzione non è dovuta quando – nonostante il committente non abbia correttamente adempiuto ai propri obblighi  – l’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice abbia correttamente assolto gli obblighi cui si fa riferimento, ovvero si sia avvalsa dell’istituto del ravvedimento operoso per sanare le violazioni commesse prima della contestazione da parte degli organi preposti al controllo.

Ne consegue che l’illecito a carico del committente si configuri esclusivamente quando l’ulteriore verifica da parte dei soggetti preposti alla vigilanza fiscale risulti negativa. Pertanto, gli obblighi di controllo del committente sono volti esclusivamente a rendere effettivi gli adempimenti di natura fiscale a carico delle imprese affidatarie e la loro violazione non può essere ricompresa  tra quelle di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Leggi la Nota 1037/2020 dell’Inl

AE: premio di risultato e valutazione del raggiungimento degli obiettivi

L’Agenzia delle Entrate pubblica la Risposta ad interpello n. 550/2020, con la quale afferma che, quando è stato sottoscritto un accordo collettivo contenente la previsione di premi di risultato, il compito di valutazione –  la relativa responsabilità – circa la sussistenza dei presupposti necessari per l’applicazione della detassazione, nel caso in cui il raggiungimento degli obiettivi prefissati risulti incerto, gravano sul sostituto d’imposta.

Nel caso di specie, l’azienda non ha applicato l’imposta sostitutiva poiché – alla data di sottoscrizione del contratto –  era già a conoscenza del raggiungimento dell’obbiettivo incrementale relativo al secondo semestre dell’anno. Il contribuente istante sostiene, invece, che gli unici dati a conoscenza della società – in tale data – erano quelli relativi al primo semestre 2019.

L’AE, in prima battuta richiama la fonte normativa secondo cui è possibile applicare la tassazione agevolata (imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali del 10%) ai premi di risultato di ammontare variabile, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base di specifici criteri definiti da uno specifico Decreto.

Tale Decreto prevede, oltre alla presenza, nei contratti collettivi, di criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, un elenco esemplificativo dei metodi di misurazione degli indici incrementali cui i premi devono essere rapportati.

L’analisi prosegue, ricordando che, al termine del periodo contrattualmente previsto – c.d. periodo congruo – è necessario operare una valutazione sull’effettivo concretizzarsi dell’incremento di uno degli obiettivi prefissati e che costituirà la giustificazione dell’applicazione del regime agevolato.

Ne consegue che non basta che l’obiettivo indicato nella contrattazione di secondo livello sia effettivamente raggiunto, ma è necessario che lo stesso sia incrementale rispetto al risultato consolidato all’inizio del periodo di riferimento. Questa è una caratteristica imprescindibile per l’applicazione dell’agevolazione ed è specificatamente previsto dalla normativa.

Appare logico dedurre che – anche in virtù della funzione incentivante delle norme – l’incrementalità degli obiettivi debba essere verificata successivamente alla data di stipula del contratto, anche se non necessariamente con riferimento ad uno specifico momento temporale.

Secondo l’AE, nonostante le azienda dispongano di strumenti di analisi e di indicatori giudicabili attendibili ed affidabili nella valutazione dell’andamento degli indici, è comunque vero che ricade sul sostituto di imposta la responsabilità circa la valutazione del raggiungimento dell’incrementalità e della relativa applicazione dell’imposta sostitutiva. Pertanto, non è condivisibile la soluzione avanzata dal contribuente istante, a favore dell’operato della società.

Legge Finanziaria per il 2021: le agevolazioni alle assunzioni

La Legge Finanziaria per il 2021 interviene sulle agevolazioni alle assunzioni, di seguito una breve panoramica.

Sgravio contributivo per l’assunzione di giovani under 36

I commi dal 10 a 15 della L. Finanziaria modifica – per il biennio 2021 e 2020 – la disciplina dell’esonero contributivo previsto per l’assunzione di giovani under 35 che non abbiamo mai stipulato un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Nello specifico, l’esonero passa dal 50% al 100% per un periodo massimo di 36 mesi e con un limite massimo di 6.000 euro annui, in luogo dei 3.000 precedenti. L’età del lavoratore viene innalzata da 35 a 36 anni non compiuti.

L’esonero è riconosciuto per:

  • Le nuove assunzioni di soggetti fino a 36 anni di età con contratto a tempo indeterminato;
  • Le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato;

Che siano effettuate negli anni 2021 e 2022.

Se l’assunzione avviene in una sede o unità produttiva ubicata nelle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, l’esonero contributivo è riconosciuto per un periodo massimo di 48 mesi.

L’esonero spetta ai datori di lavoro che non abbiano proceduto, nei 6 mesi precedenti l’assunzione, né procedano, nei 9 mesi successivi alla stessa, a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi nei confronti di lavoratori inquadrati con la medesima qualifica nella stessa unità produttiva.

Sgravio contributivo per l’assunzione di donne

I commi da 16 a 19 della L. Finanziaria rivedono la portata dello sgravio alle assunzioni delle lavoratrici donne –  effettuate nel biennio 2021-2022 – già previsto dall’articolo 4, commi 9-11, della legge n. 92/2012.

Lo sgravio riguarda le assunzioni di donne con contratto di lavoro dipendente a tempo determinato che siano effettuate nel 2021 e nel 2022 e la sua misura è pari al 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL e dura 12 mesi (elevabili a 18 in caso di assunzioni o trasformazioni a tempo indeterminato).

Il limite massimo dello sgravio è pari a 6.000 euro annui.

Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori occupati rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei 12 mesi precedente.

I soggetti destinatari dell’agevolazione sono i seguenti:

  • donne con almeno cinquant’anni di età che siano disoccupate da oltre dodici mesi ovunque residenti;
  • donne di qualsiasi età residenti in una delle aree ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • donne di qualsiasi età con una professione o di un settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere e che siano prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • donne di qualsiasi età, ovunque residenti e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi.

Decontribuzione Sud

I commi 161-169 della L. Finanziaria prevedono – per il periodo 2021-2029 – un esonero contributivo parziale in favore dei datori di lavoro del settore privato che operano nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Lo sgravio è pari:

– al 30% dei contributi previdenziali da versare fino al 31 dicembre 2025;

– al 20% dei contributi previdenziali da versare per gli anni 2026 e 2027;

– al 10% dei contributi previdenziali da versare per gli anni 2028 e 2029.

Non è previsto un tetto massimo dell’esonero.

Per il periodo 1° gennaio 2021 -30 giugno 2021, l’esonero è concesso in conformità al “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19″, mentre per il periodo successivo (1° luglio 2021-31 dicembre 2029) l’agevolazione è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.

Il congedo di paternità 2021

La Legge di Bilancio per il 2021 prevede la proroga del congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti in caso di nascite o affidi/adozioni.
I giorni di congedo obbligatorio sono 10 (anziché i 7 previsti per il 2020), non obbligatoriamente consecutivi e devono essere utilizzati entro il compimento del 5° mese di vita del figlio (o entro il 5° mese dall’affidamento/adozione). Il congedo non può essere fruito ad ore. L’innalzamento del congedo a 10 giorni riguarda gli eventi di nascita (affido o adozioni) avvenuti nel 2021 e è esteso anche ai casi di morte perinatale.

L’astensione obbligatoria è aggiuntiva rispetto a quella della madre.

Per i giorni di congedo obbligatorio, il padre lavoratore ha diritto ad un’indennità giornaliera, a carico dell’INPS, pari al 100% della retribuzione.
Per poter utilizzare i giorni di congedo obbligatorio, il padre lavoratore dipendente deve inviare – con anticipo di almeno 15 giorni – una comunicazione scritta al proprio datore di lavoro, che contenga indicazione delle date di fruizione.

Se il congedo viene richiesto in concomitanza dell’evento nascita, il preavviso dei quindici giorni va calcolato sulla data presunta del parto.

Il datore di lavoro, una volta ricevuta la richiesta scritta, comunica all’INPS le giornate di congedo fruite attraverso il flusso Uni-emens.

Con riferimento al congedo facoltativo per il padre lavoratore, la normativa prevede la possibilità di godere di un ulteriore giorno di astensione in aggiunta a quelli di congedo obbligatorio.

Il congedo facoltativo non è cumulabile con quello della madre, pertanto, in caso di utilizzo è necessario che la madre rinunci espressamente ad un giorno del proprio congedo.

Anche in questo caso deve essere presentata apposita richiesta al datore di lavoro, con un anticipo di almeno 15 giorni, cui deve essere allegata la dichiarazione sopra citata di rinuncia al godimento di un giorno di congedo da parte della madre; tale dichiarazione deve essere presentata anche al datore di lavoro della madre.

Sul sito dello Studio Nicco – Area Aziende – sono stati pubblicati i seguenti moduli:

Lavoratori somministrati: comunicazione annuale

Le aziende che hanno utilizzato – nel corso del 2020 – lavoratori somministrati, sono tenute ad effettuare una comunicazione annuale obbligatoria alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ovvero alla rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o, in mancanza, agli organismi territoriali di categoria delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con i dati relativi ai contratti di somministrazione stipulati nel 2020.

La scadenza per l’invio della suddetta comunicazione è il 31 gennaio 2021.

I dati che la suddetta comunicazione deve contenere sono:

  • il numero e i motivi dei contratti di somministrazione conclusi,
  • la durata dei suddetti contratti,
  • il numero e la qualifica dei lavoratori interessati.

La comunicazione può essere inviata tramite posta raccomandata A/R oppure tramite posta elettronica certificata.

Si ricorda che, in caso di mancato assolvimento, la sanzione amministrativa pecuniaria prevista ha un importo variabile tra € 250,00 e € 1.250,00.

Per completezza di trattazione si rinvia alla Circolare dello Studio n. 28/2012 sottolineando che il riferimento normativo aggiornato è l’art. 36, comma 3, del D.Lgs. 81/2015.

Si allega un fac-simile di comunicazione:

Comunicazione annuale somministrati – Fac simile

Proroga Cassa Integrazione Covid per il 2021

La Legge Finanziaria per il 2021 prevede la concessione di altre 12 settimane di trattamenti di cassa integrazione ordinaria e in deroga e di assegno ordinario previsti in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Tali 12 settimane (gratuite) devono essere collocate nel periodo ricompreso tra:

  • il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 per i trattamenti di cassa integrazione ordinaria;
  • il 1° gennaio 2021 e il 30 giugno 2021 per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione in deroga.

Le 12 settimane costituiscono la durata massima che può essere richiesta con causale Covid-19.

I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi dell’articolo 12 del decreto Ristori (D.L. 137/2020, convertito) collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 1° gennaio 2021 sono imputati, ove autorizzati, alle 12 settimane aggiuntive previste.

Ai sensi del comma 305, tutti i predetti benefici sono riconosciuti anche in favore dei lavoratori assunti dopo il 25 marzo 2020 e in ogni caso in forza al 1° gennaio 2021 (data di entrata in vigore della Legge di Bilancio 2021).