Vaccino anti Covid-19: il Garante Privacy traccia i confini dei poteri datoriali

L’avvio della campagna vaccinale anti Covid-19 ha portato interrogativi anche nei contesti lavorativi, in particolar modo con riferimento alla possibile obbligatorietà della procedura e ai confini del potere datoriale, sia in materia di acquisizione di informazioni che di azioni nei confronti dei propri dipendenti.

A fare chiarezza interviene il Garante Privacy che il 17 febbraio ha pubblicato alcune nuove faq con l’obiettivo di indirizzare imprese, Enti e la PA verso la corretta applicazione della disciplina in materia, oltreché quello di evitare che vengano posti in essere trattamenti illeciti dei dati personali ed effetti discriminatori, senza contare i conseguenti costi di gestione non necessari.

Vediamo nel dettaglio il contenuto delle risposte pubblicate.

Il concetto cardine su cui è imperniato il parere del Garante risiede dell’impossibilità da parte del datore di lavoro di fare richiesta ai propri dipendenti circa l’effettuazione della vaccinazione, né di richiedere copia di eventuali certificazioni attestanti l’avvenuta vaccinazione. All’interno dell’impianto normativo vigente non c’è, infatti, traccia alcuna della liceità di acquisizione da parte del datore di lavoro dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti.  Anzi, nel caso specifico, il consenso non ha titolo per costituire una valida condizione di liceità stante lo squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo.

L’acquisizione di tali informazioni da parte del datore di lavoro non può avvenire neppure per il tramite del medico competente. Quest’ultimo è l’unico soggetto titolato al trattamento delle informazioni sanitarie riguardanti i lavoratori. Informazioni tra le quali rientrano, peraltro, anche quelle relative alle vaccinazioni eseguite e che vengono acquisite in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica, con riferimento all’attività di sorveglianza sanitaria.

Il solo dato che può essere richiesto dal datore di lavoro al medico competente riguarda i giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni/limitazioni conseguenti.

Ultimo concetto trattato dal Garante riguarda il ricorrente interrogativo sulla possibilità di porre la vaccinazione anti Covid-19 quale condizione obbligatoria per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di specifiche mansioni, ancor più con riguardo alle professioni in campo sanitario.

Poiché il legislatore non è attualmente intervenuto circa la possibilità di introdurre la vaccinazione anti Covid-19 come obbligatoria sulla base delle professioni e delle mansioni svolte, il solo parametro di riferimento che può essere applicato è quello regolato dall’articolo 279 –  Titolo X – Capo III – del d.lgs. n. 81/2008 in tema di “Protezione e controllo”, il quale recita:

1. Qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41.

2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali:

a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;

b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42.

3. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l’esistenza di anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.

4. A seguito dell’informazione di cui al comma 3 il datore di lavoro effettua una nuova valutazione del rischio in conformità all’articolo 271.

5. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell’allegato XLVI nonché sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione.

Leggendo l’articolo si evince che, nuovamente, solo il medico competente può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica, nello svolgimento della sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino.

Ruolo del datore di lavoro è quello di porre in essere le misure precauzionali indicate dal medico competente nei riscontrati casi di parziale o temporanea inidoneità alla mansione.

Leggi le Faq del Garante Privacy sul Coronavirus

Scarica il Vademecum sul Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo

Compatibilità NASpI e carica di amministratore

Il Tribunale di Milano – con Sentenza del 3.12.2020 – afferma che la percezione della NASpI è compatibile con la titolarità di una carica sociale, così come quella di membro di un consiglio di amministrazione, in assenza di redditi conseguenti a tali attività.

Nel caso di specie, l’Inps aveva rifiutato l’erogazione della NASpI all’amministratore unico di società in liquidazione che, in conseguenza di ciò, non gli aveva corrisposto alcun compenso. L’amministratore ha presentato ricorso presso l’Inps sostenendo di non essere titolare di alcuna carica societaria. L’Inps respinge la domanda sostenendo che – sulla base della sua stessa circolare 174/2017 – la dichiarazione reddituale, anche in caso di redditi pari a zero, deve essere resa entro 30 giorni dalla domanda di NASpI.

Secondo i Giudici del Tribunale di Milano il ricorrente ha provato la sussistenza di tutti i requisiti (contributivi e soggettivi) necessari per l’erogazione della Naspi e ha dato conferma che la carica di socio e amministratore non corrisponde a un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione. Inoltre, tale carica non comporta – in automatico – l’erogazione di un compenso e ad un reddito da dichiarare per poterne verificare la congruità rispetto alle soglie di cumulabilità permesse per conservare il diritto alla indennità di disoccupazione.

La Sentenza, inoltre, evidenzia come il termine decadenziale di 30 giorni previsto dalla normativa non può essere applicato al caso esaminato, perché non si ravvisa un rapporto potenzialmente incompatibile. I limiti alla compatibilità fra Naspi e attività di lavoro autonomo o societarie sono previsti solo se da queste derivi un reddito al titolare dell’indennità di disoccupazione.

Premi di risultato: possono essere rimodulati se i nuovi obiettivi individuati sono incerti

L’Agenzia delle Entrate riconosce, relativamente ai premi di risultato, l’accesso a tutti i benefici fiscali normativamente previsti dalla legge Stabilità 2016, anche in presenza di integrazione di accordi di secondo livello o di accordi territoriali già sottoscritti in anni precedenti.

L’interpretazione dell’Agenzia – vista l’assenza di uno specifico intervento normativo a riguardo – consente la possibilità di adattare i piani di incentivazione al verificarsi di situazioni peculiari che li rendono – parzialmente o integralmente – di difficile realizzazione, come quelli inerenti l’anno 2020, sensibilmente influenzati dall’emergenza epidemiologica.

Per procedere in tal senso e necessario introdurre ulteriori e alternativi obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione, che dovranno essere confrontati con i risultati conseguiti in un periodo congruo, stabilito dalle parti contrattuali.

Sulla base della normativa vigente, per accedere alla tassazione agevolata le parti hanno la facoltà di stabilire che sia sufficiente il riscontro dell’incremento anche di uno solo tra gli obiettivi stabiliti contrattualmente, oppure solo di alcuni di essi. Con la risposta dall’Agenzia delle Entrate viene chiarito che questo è applicabile anche con riferimento ai parametri eventualmente fissati dagli accordi integrativi.

Per non svuotare di significato la portata della norma agevolativa, viene richiesto – in aggiunta –  che la condizione d’incertezza circa il raggiungimento dell’obiettivo incrementale sussista al momento della sottoscrizione del contratto aziendale/territoriale e anche l’ulteriore integrazione.

Se le parti – tramite l’accordo integrativo – individuano ulteriori e alternativi obiettivi incrementali, il cui raggiungimento risulti incerto al momento della loro individuazione, sarà possibile applicare il regime agevolativo sotto la responsabilità del sostituto d’imposta, che dovrà valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della tassazione agevolata (imposta sostitutiva del 10%) e/o della conversione, anche parziale, del premio di risultato in welfare aziendale.

Il sostituto, al momento della valutazione di cui sopra, dovrà anche considerare che l’andamento dei parametri contrattualmente adottati può essere suscettibile di variabilità, in particolare se si fa riferimento a situazioni particolari – come l’emergenza sanitaria attuale – da cui potrebbe discendere la necessità di riparametrare tali obiettivi.

Ccnl Metalmeccanica industria: ipotesi di accordo per il rinnovo

Le associazioni sindacali del comparto industria metalmeccanica (Federmeccanica e Assistal con Fiom-CGIL, Fim-CISL e Uilm-UIL) hanno firmato – in data 5 febbraio 2021 – l’ipotesi di accordo per il rinnovo del Ccnl.

Il testo precedente – con scadenza originaria al 31/12/2019 – ha continuato a produrre i suoi effetti in virtù del principio di ultrattività stabilito dall’articolo 2 – sezione terza del testo secondo cui: “Il Contratto si intenderà rinnovato per un periodo pari a quello di cui al primo comma se non disdetto, sei mesi prima della scadenza, con raccomandata a/r”.

Le principali novità riguardano:

  • la classificazione e l’inquadramento dei lavoratori,
  • la conseguente nuova definizione dei minimi tabellari,
  • il contributo una-tantum opzionabile dai lavoratori non iscritti al sindacato a copertura degli impegni sostenuti per il rinnovo,
  • l’aumento della contribuzione aziendale al fondo di previdenza integrativa.

A livello globale, il testo contiene un rafforzamento dei contenuti riguardanti le relazioni industriali, i diritti d’informazione confronto e partecipazione, la sicurezza nei luoghi di lavoro e la formazione continua dei lavoratori.

Altre rilevanti novità riguardano:

  • l’introduzione della clausola sociale sugli appalti pubblici,
  • la sezione sul rafforzamento delle tutele nei confronti delle donne che abbiano subito violenza di genere,
  • lo smart working.

Classificazione del personale

Dal 1° giugno 2021 i lavoratori verranno inquadrati sulla base di una nuova classificazione studiata per tenere conto dell’accrescimento del valore del lavoro nel comparto della metalmeccanica nel corso del tempo. Nello specifico, la nuova classificazione si articola in 4 campi di responsabilità per 9 livelli di inquadramento:

Attuale Categoria              Nuovi livelli

8                                         A1

7                                         B3

6                                         B2

5S                                       B1

5                                          C3

4                                          C2

3S                                        C1

3                                          D2

2                                          D1

1                                          soppresso

Nuovi minimi retributivi

L’accordo stabilisce un aumento medio pari a 112 euro per il 5^ livello, 100 euro per il 3^ livello. La vigenza del contratto decorre dal mese di gennaio 2021 e fino al mese di giugno 2024; le tranches di aumenti saranno erogate alle seguenti scadenze:

  • Giugno 2021;
  • Giugno 2022;
  • Giugno 2023;
  • Giugno 2024.

Leggi l’estratto dell’Ipotesi di accordo sui nuovi minimi retributivi

Quarantena al ritorno dalle ferie: giusta causa di licenziamento

Quando l’assenza dal lavoro non è giustificata da un valido motivo, la condotta del lavoratore integra una grave violazione dei doveri inerenti il rapporto di lavoro, con risvolti non modificabili che riverberano sul vincolo fiduciario con il datore di lavoro.

Nel caso specifico, la lavoratrice – al rientro da un periodo di ferie trascorso all’estero – non si presenta al lavoro per osservare la quarantena fiduciaria. Il datore di lavoro licenzia la dipendente contestando la scelta di recarsi in un paese straniero per trascorrere le ferie, consapevole delle restrizioni in atto e dell’obbligo di quarantena che sarebbe scaturito al suo ritorno in Italia.

Il Tribunale di Trento giudica come valido il licenziamento intimato dal datore di lavoro, poiché la dipendente ha operato la sua scelta consapevole dei risvolti che questa avrebbe comportato e, così facendo, ha reso la sua assenza non giustificabile. Inoltre, secondo i Giudici, il licenziamento non può essere classificato come limitativo del diritto della lavoratrice di fruire liberamente del periodo di ferie previsto per legge, dato che le esigenze di sanità pubblica hanno imposto a tutta la popolazione sacrifici ben più gravi, quali la limitazione temporanea della libertà di movimento personale e del godimento di alcuni diritti civili. Il licenziamento per giusta causa è giustificato sia dalla prolungata assenza della lavoratrice, ma anche dal comportamento negligente della lavoratrice che ha messo i propri interessi personali davanti a quelli aziendali.

 

Anche per l’INL il lavoro a chiamata non può essere vietato dalla contrattazione collettiva

Con Circolare n. 1/2021 l’Ispettorato nazionale del lavoro chiarisce il ruolo della contrattazione collettiva nell’applicazione del lavoro intermittente.

La contrattazione collettiva è incaricata dall’art. 13 del D.Lgs. 81/2015 di un ruolo ben preciso, quello di individuare le esigenze per le quali è consentito stipulare un contratto a prestazioni discontinue.

Al contrario, non risulta in alcun modo possibile, alle parti sociali, vietare o interdire l’utilizzo di tale tipologia contrattuale, così come pronunciato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 29423 del 13 novembre 2019, sentenza che aveva messo in discussione numerosi accordi collettivi che intervenivano in questo senso.

La circolare invita infatti, gli ispettori del lavoro a conformarsi a tale sentenza chiedendo di non tener conto, durante l’attività di vigilanza, di eventuali clausole contenute negli accordi collettivi che dovessero vietare l’utilizzo al lavoro intermittente, travalicando di fatto il compito affidatogli dal legislatore.

Questo tema era stato trattato e interpretato giungendo alle stesse conclusioni, già nel 2014 da Saverio Nicco nel Parere della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro n. 7/2014 :”Non si evince alcuna delega alla contrattazione collettiva con la quale la stessa possa precludere l’utilizzo di tale istituto nel settore specifico”, facciamo rimando per una completa visione.

Autonomia funzionale e preesistenza del ramo nel trasferimento d’azienda: recente pronuncia di Cassazione

La Corte di Cassazione – con Sentenza n. 438/2021 – si pronuncia in tema di autonomia funzionale ed organizzativa e relativa preesistenza del ramo in caso di trasferimento d’azienda.

Secondo i Giudici – ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c. – si qualifica come elemento costitutivo della cessione la c.d. autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, non essendo ostativo a tal fine che tale servizio sia espletato in favore della stessa cedente poi divenuta committente.

Nel caso di specie, alcuni lavoratori hanno impugnato la cessione del ramo di azienda tra due società con passaggio del loro rapporto di lavoro alla cessionaria, sostenendone la nullità e/o inefficacia.

Il giudizio di secondo grado – confermando la pronuncia di merito – sosteneva la legittimità dell’operazione messa in atto dalle due società configurando, pertanto, un trasferimento di ramo di azienda.

Tale giudizio è giustificato:

  • Dal punto di vista oggettivo dalla sussistenza – precedente all’atto di cessione – di una precisa autonomia funzionale del ramo;
  • Dal punto di vista soggettivo, nella puntuale individuazione da parte dei contraenti dei beni da trasferire come unitario compendio connesso con l’attività economica trasferita, a nulla rilevando che il servizio di manutenzione venisse quindi espletato dalla cessionaria in favore della cedente, rimasta proprietaria degli immobili.

Inoltre, secondo il parere della Corte territoriale, sussisteva una reale organizzazione delle prestazioni di lavoro da parte dell’appaltatore finalizzata al raggiungimento di un risultato produttivo autonomo, indice di un appalto genuino.

I lavoratori propongono ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso. La decisione si basa sul concetto che sia la normativa comunitaria che quella nazionale si pongono come fine quello di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva.

Nello specifico, viene richiesto che il ramo di azienda oggetto del trasferimento costituisca una entità economica avente propria identità intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria. Inoltre, l’art. 2112 c.c., comma 5, fa riferimento alla parte di azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata.
Sulla base di questo concetto, i Giudici riconoscono il configurarsi della cessione di ramo di azienda poiché – all’atto dello scorporo dal complesso cedente – il ramo ceduto aveva già una propria autonomia funzionale ed era in grado di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, anche rispetto ad un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva, purché dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili.
In conclusione, la Corte afferma che, nel caso in esame, non rileva il fatto che il servizio di manutenzione degli immobili svolto dalla società cessionaria venisse effettuato, successivamente a detto trasferimento di ramo, anche con riguardo ai beni della società cedente, divenuta committente del servizio, rigettando il ricorso dei lavoratori.

Congedi straordinari 2021

A partire dal 1° gennaio 2021, i congedi straordinari previsti riguardano:

  • Sospensione dell’attività di didattica in presenza delle classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado, con sede nelle regioni con scenario di massima gravità e rischio elevato (zone rosse);
  • Sospensione dell’attività di didattica in presenza di qualsiasi scuola, di ogni ordine e classe, in qualsiasi regione, e alla chiusura di centri diurni a carattere assistenziale ovunque collocati, ma limitatamente ai genitori di figli con disabilità grave accertata ai sensi dell’articolo 4 comma 1, della legge 104/1992.

La norma non indica specificatamente il periodo di utilizzo dei congedi, ma il termine di decorrenza è stato individuato dall’Inps nella circolare 2/2021 nel 9 novembre 2020. Per i giorni antecedenti si poteva utilizzare il congedo straordinario del figlio convivente under 14 previsto dall’articolo 21-bis del Dl 104/2020. Il termine finale non viene precisato né dalla legge, né dalla circolare Inps, pertanto, si potrebbe suppone che:

  • Quello che i figli disabili sia aperto;
  • Quello riservato alla sospensione della didattica nelle zone rosse va desunto utilizzando i riferimenti normativi contenuti nell’articolo 22-bis del Dl 137/2020, ovvero le ordinanze del ministero della Salute emesse in base all’articolo 3 del Dpcm 3 novembre 2020 e dell’articolo 19-bis del medesimo decreto 137, nonché del Dpcm del 3 dicembre 2020 (come da circolare Inps 2/2021). Questo riferimento dovrebbe portare la scadenza del congedo a coincidere con quello del provvedimento (15 gennaio 2021).

I destinatari di entrambi i congedi sono solo i lavoratori dipendenti, genitori, anche affidatari o collocatari, che non possono svolgere la prestazione in modalità di lavoro agile che siano:

  • Titolari di un rapporto di lavoro in corso che, laddove dovesse interrompersi, comporta il conseguente venir meno del diritto al congedo, salvo l’obbligo del beneficiario di comunicarlo all’Inps;
  • Non impiegati in modalità di lavoro agile.

Non è invece più richiesto il requisito della convivenza con il figlio, ma solo l’utilizzo alternativo del congedo (negli stessi giorni) con l’altro genitore.

È consentita la contemporanea fruizione, negli stessi giorni, da parte di entrambi i genitori per due figli (di entrambi i genitori), a condizione che uno dei due figli sia disabile grave.

L’assenza – che non può superare il periodo della sospensione della didattica – è retribuita con un’indennità a carico dell’Inps pari al 50% della retribuzione calcolata secondo le medesime regole previste per il congedo parentale e coperta in modo figurativo anche dal punto di vista contributivo.

L’indennità è riconosciuta solo per le giornate lavorative che ricadono all’interno del periodo di congedo richiesto (dal lunedì al sabato, eccetto le giornate festive).

Corte di Giustizia UE: il distacco transnazionale

La Grande Sezione della Corte di Giustizia UE è stata chiamata a pronunciarsi in tema di distacco transnazionale dei lavoratori fornendo una pronuncia rilevante nell’ambito del trasporto su strada, settore caratterizzato da un crescente spostamento dei lavoratori.

Il caso in esame riguarda l’applicabilità del Ccl Trasporto merci utilizzato nei confronti dei dipendenti della società capogruppo (con sede nei Paesi Bassi) anche ai dipendenti delle sedi operative con sede rispettivamente in Germania e in Ungheria , stanti le previsioni i della Direttiva UE 96/71 sul distacco dei lavoratori.

La Sezione – riprendendo la definizione di lavoratore distaccato fornita dalla Direttiva che recita: il lavoratore che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente – ne definisce i confini e integra tale definizione affermando che un lavoratore può definirsi distaccato qualora lo svolgimento del suo lavoro presenti, durante il limitato periodo in questione, un legame sufficiente con il territorio e che l’esistenza di un simile legame è determinata nell’ambito di una valutazione globale di elementi quali la natura delle attività svolte dal lavoratore interessato in detto territorio, il grado di intensità del legame delle attività di tale lavoratore con il territorio di ciascuno Stato membro nel quale egli opera, nonché la parte che dette attività vi rappresentano nell’insieme del servizio di trasporto.

Con riferimento specificatamente all’attività del trasporto su strada ed alle sue caratteristiche e con particolare riguardo al concetto di mobilità dei lavoratori sottolinea che hanno rilevanza attività perimetrali quali carico e scarico merci e manutenzione e pulizia del mezzo, se sono svolte dall’autista e non da soggetti terzi. Per converso, è da escludere il concetto secondo cui il transito nel territorio di uno Stato membro sia sufficiente per creare un legame con lo stesso.

Per la qualificazione del lavoratore distaccato i parametri da considerare non sono l’esistenza di un vincolo di gruppo tra le imprese, né il fatto che il lavoratore riceva istruzioni inerenti le sue missioni o che inizi e concluda le stesse presso la sede dell’impresa di altro Stato membro. Il motivo risiede nel fatto che questi non sono fattori sufficienti per ritenere che egli sia stato distaccato in tale Stato, soprattutto se lo svolgimento del lavoro non presenta un legame sufficiente col territorio, da determinarsi sulla base di elementi ulteriori.

Da quanto espresso nella Sentenza, i Giudici creano il presupposto da cui discende l’applicabilità delle disposizioni al lavoratore distaccato delle tutele di miglior favore in vigore nello Stato membro dove l’attività viene concretamente svolta.

Cassazione: come stabilire la voce di tariffa Inail per le imprese con più lavorazioni

La Cassazione si pronuncia (Sentenza 27550/2020) sulle verifiche procedurali da operare per determinare quale voce di tariffa Inail sia applicabile in caso di più lavorazioni svolte.

Il controllo preliminare deve essere svolto circa l’individuazione della lavorazione che assume il carattere di lavorazione principale.

Dopodiché si passa all’analisi delle altre lavorazioni per comprendere se queste siano o meno in correlazione tecnica e funzionale con quella principale. In caso affermativo è possibile attribuire anche ad esse la voce tariffaria della lavorazione principale.

Ciò che caratterizza la fase di verifica è la struttura di subordinazione tra le diverse lavorazioni svolte per stabilire se le attività subordinate determinino una realizzazione più agevole degli obiettivi aziendali in maniera più veloce e completa e se i beni/servizi prodotti siano necessari e imposti dalla lavorazione principale.

Se non è possibile isolare i singoli cicli di operazioni di cui la lavorazione aziendale è composta, significa che le attività devono essere considerate unitariamente ai fini dell’individuazione della tariffa Inail da applicare, che sarà una sola.

Per i Giudici il concetto di lavorazione ricomprende in sé tutte le operazioni complementari e sussidiarie che il datore di lavoro svolge in connessione operativa con l’attività principale anche se sono effettuate in luoghi diversi.