Un’azienda non può utilizzare l’attività delle agenzie investigative private per controllare che i propri dipendenti adempiano effettivamente alla mansioni oggetto del contratto di lavoro.
Tale divieto vige anche in relazione alle attività svolte dai dipendenti al di fuori dei locali aziendali.
E’ quanto afferma la Cassazione nella sentenza 15094/2018.
Nel caso in esame, un’azienda ha licenziato un proprio dipendente – cui erano state affidate mansioni di ispezioni, verifica e controllo presso cantieri – poiché, da un indagine svolta da un’agenzia di investigazioni privata, era emerso che il lavoratore non aveva effettivamente eseguito i propri compiti, ma aveva comunque rilasciato certificati che attestavano l’esecuzione dei sopra citati controlli.
La condotta posta in atto – altamente lesiva dei doveri di diligenza e fedeltà in capo al lavoratore – giustificherebbe, di per sé, il licenziamento per giusta causa. Tuttavia, secondo i giudici di Cassazione, il licenziamento non è legittimo.
Lo Statuto dei Lavoratori consente la possibilità di avvalersi dei servizi esterni (e quindi anche delle agenzie di investigazione private) esclusivamente per fatti che riguardano la tutela del patrimonio aziendale. Pertanto, rimane preclusa per il datore di lavoro la possibilità di utilizzare tali servizi per il controllo dell’effettivo adempimento della prestazione lavorativa. Di tale tipo di controllo, pertanto, è titolare esclusivo il datore di lavoro, anche per il tramite dei suoi collaboratori.
La sola ipotesi in cui il datore di lavoro può avvalersi delle agenzie private di investigazione per compiere indagini attinenti le effettive attività svolte dai propri dipendenti – anche al di fuori dei locali aziendali – è quando su di esse esista un giustificato sospetto che riguardino comportamenti illeciti dei lavoratori.