Un comportamento extra-lavorativo scorretto giustifica il licenziamento

Se un dipendente pone in essere un comportamento extra lavorativo di portata tale da ledere gli interessi patrimoniali e morali del datore di lavoro nonché la sua fiducia, quest’ultimo può lecitamente comminare al dipendente la sanzione espulsiva se detto comportamento presenta carattere di gravità relativamente alla natura dell’attività in cui viene resa la prestazione lavorativa del dipendente in oggetto.

E’ quanto stabilito dalla sentenza n. 4633 del 09.03.2016 della Corte di Cassazione.

Il caso in oggetto riguarda un lavoratore che ha impugnato il licenziamento intimato dal datore di lavoro, a seguito di una contestazione disciplinare con la quale gli veniva addebitato il coinvolgimento nella commissione del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e di avere sottaciuto la sua sottoposizione agli arresti domiciliari nel periodo nel quale egli risultava assente per malattia.

In seguito al rigetto del ricorso nei primi due gradi di giudizio, lo stesso è stato nuovamente presentato e rigettato in Cassazione, che sulle questioni proposte ha rilevato – conformandosi alle numerose pronunce precedenti – che una condotta illecita, ancorché estranea all’esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato, può avere un rilievo disciplinare; questo in virtù del fatto che il lavoratore è assoggettato non solo all’obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all’obbligazione accessoria di tenere un comportamento extralavorativo tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di lavoro.

La suddetta condotta illecita comporta la sanzione espulsiva se presenta caratteri di gravità, che debbono essere apprezzati, anche in relazione alla natura dell’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro ed all’attività in cui s’inserisce la prestazione resa dal lavoratore subordinato.

Con specifico riferimento al caso sopra esposto, si è poi affermato che la detenzione, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario.