La lavoratrice che ha promosso una causa di lavoro contro il datore per mobbing e straining, lamentando un peggioramento dello stato di salute per le vessazioni che ha dedotto di aver subito, può essere legittimamente trasferita per incompatibilità ambientale della stessa. Nella fattispecie, il cambio della sede di lavoro non costituisce un comportamento ritorsivo, ma una misura organizzativa necessaria per proteggere la salute della lavoratrice e salvaguardare, al contempo, il buon funzionamento dell’ufficio e l’integrità dei colleghi.
Questo è il principio contenuto nella Sentenza 581/2025 del Tribunale di Milano per una controversia promossa dalla dipendente di un istituto di credito che lamentava di essere stata spostata di sede quale ritorsione per una precedente azione giudiziale promossa per il diritto a un inquadramento superiore e per il risarcimento dei danni subiti per le azioni persecutorie da parte dei superiori in azienda. Il datore si era difeso affermando che l’assegnazione ad altra sede era avvenuta per incompatibilità ambientale, di cui si aveva evidenza alla luce delle denunciate condotte ritorsive e mortificanti e degli effetti pregiudizievoli per la salute lamentati dalla dipendente.
Il Giudice conferma che il trasferimento non costituisce condotta discriminatoria, ma piuttosto una misura necessaria per rimuovere le ricadute dell’insorta incompatibilità ambientale e che rimuove le condizioni che possono pregiudicare la salute e la integrità morale della persona che si assume offesa.