Il lavoratore che si trovi in stato detentivo è sempre tenuto a dare comunicazione della propria assenza in maniera tempestiva, efficace ed esaustiva al proprio datore di lavoro.
Con la sentenza n. 13383/2023 i Giudici della Corte di cassazione confermano la legittimità del licenziamento disciplinare disposto dall’azienda in quanto il lavoratore, ancorché detenuto e temporaneamente in isolamento, avrebbe comunque dovuto comunicare al datore la propria assenza.
La pronuncia poggia le sue fondamenta sul concetto secondo il quale sono stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva le c.d. cause di sospensione del rapporto; si tratta di ipotesi specifiche durante le quali il lavoratore ha un vero e proprio diritto di non presentarsi al lavoro dovendosi ritenere giustificata l’assenza rispetto alla quale il prestatore di lavoro è obbligato soltanto a darne comunicazione al datore (ad esempio: malattia o infortunio, maternità, congedo matrimoniale e parentale, ferie e permessi).
Tuttavia, se il lavoratore non provvede a informare il datore di lavoro della propria assenza, ci si può trovare di fronte a una violazione disciplinare, dalla quale può discendere – in caso di assenza non giustificata – un provvedimento disciplinare.
Nel caso in esame, il contratto collettivo applicato (Terziario distribuzione servizi) prevede specificatamente il licenziamento quale sanzione disciplinare da applicarsi in caso di assenza ingiustificata per più giorni consecutivi.
In tutti i casi, il lavoratore è sempre tenuto a comunicare tempestivamente la propria assenza, sia nei casi regolati dalla legge o dalla contrattazione collettiva, ma anche in quelli in cui un diverso impedimento non gli consenta di rendere la propria prestazione. Il concetto è valido anche per le prestazione rese con telelavoro o in smart working.
Nello specifico, il licenziamento è stato determinato dall’assenza ingiustificata del lavoratore che, al termine del periodo di isolamento e rientrato nel regime ordinario di detenzione, non si era premurato di far giungere all’esterno la notizia della propria detenzione da far recapitare formalmente al datore di lavoro. In lavoratore, inadempiente rispetto all’onere di comunicazione, ha violato la disposizione del Ccnl applicato al rapporto di lavoro che prevedeva il licenziamento in caso di assenza ingiustificata superiore a 3 giorni. Il datore di lavoro è venuto a conoscenza della detenzione dopo oltre 2 mesi di assenza; quindi, il licenziamento era apparso al datore di lavoro inevitabile.
I Giudici evidenziano anche che la comunicazione resa dal lavoratore deve possedere dei requisiti minimi di formalità per essere ritenuta valida. Nel caso oggetto di giudizio, è stato ritenuto privo di effetti il fatto che il direttore generale fosse venuto incidentalmente a conoscenza della detenzione dalla moglie del lavoratore. Quest’ultimo avrebbe dovuto inviare una comunicazione scritta dal carcare, informando in maniera puntuale il datore di lavoro circa la propria situazione e la durata stimata dell’assenza. In difetto della comunicazione, il datore di lavoro non ha potuto avviare un processo organizzativo atto a sostituire il lavoratore assente.
A titolo generale, nel caso in cui il lavoratore si trovi in carcere, si ricorda che non c’è uno specifico automatismo tra azione penale e licenziamento: non si perde quindi il diritto alla conservazione del posto di lavoro solo perché si è stati tratti in arresto e sottoposti a misura cautelare custodiale.
E’ necessario verificare se il fatto commesso dal dipendente, che ha dato origine al processo penale, è tale da ledere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, valutando, quindi, la gravità dei fatti in relazione ad una serie di parametri quali:
- natura del rapporto di lavoro;
- tipo di mansioni assegnate;
- grado di affidamento connesso all’esercizio di tali mansioni.
Lo stato di detenzione (anche preventiva) del dipendente per fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro, non costituisce quindi di per sé un inadempimento agli obblighi contrattuali e, quindi, non rappresenta una giusta causa di licenziamento.
La carcerazione può rappresentare una sopravvenuta impossibilità della prestazione (totale o parziale), che consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso in cui emerga che non persiste l’interesse del datore di lavoro a ricevere ulteriori e future prestazioni da parte del dipendente.
Il giudizio sulla portata dell’interesse deve essere fatto considerando molteplici fattori quali:
- le dimensioni dell’impresa,
- il tipo di organizzazione tecnico-produttiva in essa attuato,
- la natura ed importanza delle mansioni del lavoratore detenuto,
- il periodo di sua assenza già maturato,
- la ragionevolmente prevedibile ulteriore durata dell’impossibilità sopravvenuta,
- la possibilità di affidare temporaneamente ad altri le mansioni senza necessità di nuove assunzioni.