Se la cessione di un ramo di azienda viene dichiarata inefficace, il lavoratore illegittimamente ceduto ha diritto al ripristino de iure e de facto del rapporto di lavoro con il datore di lavoro cedente e al pagamento, da parte di quest’ultimo, delle retribuzioni nelle more maturate e non pagate a fronte della messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore.
E’ il contenuto dell’Ordinanza n. 32378 del 03 novembre 2022 emessa dalla Corte di Cassazione.
Nello specifico, il caso riguarda una società napoletana cui è stata rigettata dalla Corte di appello di Napoli l’opposizione al decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di una retribuzione non erogata ad una lavoratrice che aveva ottenuto una sentenza con la quale era stata accertata la nullità della cessione di ramo di azienda dalla predetta società, con diritto al ripristino del rapporto con la cedente ed alle retribuzioni maturate e non erogate.
Il Giudice ritiene che quanto percepito dalla lavoratrice in CIGS dalla società cessionaria non fosse scomputabile da quanto dovutole a titolo di retribuzioni omesse da parte della cedente.
Anche la Suprema Corte, confermando la sentenza della Corte territoriale, rigetta il ricorso proposto dalla società cedente.
La decisione poggia sul presupposto che le retribuzioni percepite dal lavoratore durante la illecita cessione dallo pseudo cessionario non possono essere detratte da quanto dovuto dal cedente, dato che i rapporti di lavoro instaurati per effetto della illecita cessione sono due e devono essere considerati distinti tra loro.
La continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, si configura solo in presenza di un legittimo trasferimento d’azienda e nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c. che consente la sostituzione del contraente senza il consenso del ceduto.
Nel caso oggetto di esame, l’unicità del rapporto perché il trasferimento è stato dichiarato invalido, nonostante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto alle cui dipendenze il lavoratore prosegua, di fatto, a lavorare.
Pertanto, se il datore di lavoro ha operato un trasferimento di ramo d’azienda dichiarato illegittimo ed abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione, le somme percepite nel medesimo periodo (anche a titolo di retribuzione) per l’attività prestata nei confronti del datore di lavoro cessionario (fittizio) non possono essere scomputate da quelle dovute dal datore cedente.
Ciò accade perché permane in capo al lavoratore il diritto di ricevere le somme ad esso spettanti da parte del datore cedente, a titolo di retribuzione e non di risarcimento; pertanto, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, su cui poggia le basi la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento.
In aggiunta, si ricorda che le somme percepite dal lavoratore in relazione alla CIGS, all’indennità di mobilità e a titolo di trattamento pensionistico hanno natura previdenziale.
Poiché ai fini dell’ aliunde perceptum, rilevano solo i redditi conseguiti attraverso l’impiego della medesima capacità lavorativa, tali proventi (che derivano da prestazioni previdenziali che discendono dal verificarsi dei requisiti a tal fine stabiliti dalla legge) non possono considerarsi definitivamente acquisiti al patrimonio del lavoratore, essendo ripetibili dall’ente previdenziale nel caso in cui vengano a cadere i presupposti per la sua erogazione.