Anche il buono pasto riconosciuto nei confronti dei lavoratori agili (smart working) non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente nei limiti previsti dalla specifica normativa. E’ quanto afferma l’Agenzia delle Entrate nella Risposta 123/2021.
Il documento, ripercorrendo il dettato normativo che regola le erogazioni da parte del datore di lavoro relativamente alle spese per il vitto dei propri dipendenti, parte dal presupposto secondo cui il regime fiscale di favore nei confronti delle somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro trova il suo fondamento nella volontà del legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti che si ricollegano alla necessità del datore di lavoro di provvedere alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve consumare il pasto.
La normativa in esame prevede diverse e specifiche fattispecie di somministrazione di vitto:
- la gestione, anche tramite terzi, di una mensa da parte del datore di lavoro;
- la prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (es., sotto forma di buoni pasto);
- la corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.
Escludendo la prima ipotesi che non prevede la formazione di reddito in capo al lavoratore, le altre due situazioni hanno rilevanza reddituale.
Da una combinata analisi delle disposizioni normative e le interpretazioni fornite dall’Agenzia si evince che il buono pasto può essere corrisposto da parte del datore di lavoro in favore dei dipendenti assunti, sia a tempo pieno che a tempo parziale, nonché qualora l’articolazione dell’orario di lavoro non preveda una pausa per il pranzo; tale previsione, in effetti, tiene conto della circostanza che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili.
In aggiunta, l’Agenzia ricorda che la normativa fiscale non opera una definizione delle prestazioni sostitutive di mensa, ma si limita a stabilirne la non concorrenza al reddito ed i relativi limiti.
In conclusione, se l’effettivo consumo del pasto durante l’orario di lavoro non rileva ai fini della non concorrenza al reddito da lavoro dipendente, non si ravvisano motivi per non estendere il regime di favore anche ai lavoratori in smart working.
Leggi la Risposta AE n. 123/2021