La conciliazione in sede protetta (articolo 2113, comma 4, Codice Civile) può essere considerata valida se il rappresentante sindacale sottoscrittore appartiene al sindacato cui il dipendente risulta iscritto, essendo egli l’unico soggetto legittimato a fornire l’assistenza qualificata che costituisce il presupposto di validità della conciliazione.
Parimenti non può essere dato alcun valore all’incarico eventualmente conferito dal lavoratore all’atto della sottoscrizione del verbale di conciliazione, perché la circostanza di averlo rilasciato al momento in cui si transige lo rende inidoneo a comprovare che il lavoratore abbia ricevuto una effettiva assistenza.
Quanto sopra riportato è il contenuto della Sentenza del Tribunale di Bari del 6 aprile scorso relativa ad una controversia in cui un lavoratore sosteneva che la sottoscrizione del verbale di conciliazione fosse stata raggiunta senza una volontà condivisa, ma dietro iniziativa del datore di lavoro. Inoltre, il lavoratore affermava di non aver conferito alcun mandato di assistenza alla organizzazione sindacale, alla quale – per altro – non era neppure iscritto.
Per i Giudici, la non iscrizione del lavoratore alla sigla sindacale firmataria, ha avuto un peso preponderante nell’accoglimento delle richieste del lavoratore e sulla conseguente dichiarazione di nullità del verbale di conciliazione.
Ne consegue che, se durante una transazione in sede protetta, l’assistenza al lavoratore viene resa dal rappresentante di una sigla sindacale cui il lavoratore non ha ufficialmente aderito, il verbale di conciliazione è privo di valore e il lavoratore resta libero di impugnare la stessa.