In caso di denuncia per mobbing, grava in capo al lavoratore l’onere della prova; è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 21328/2017.
Perchè si possa confermare l’intento persecutorio non può dirsi sufficiente il fatto che il datore di lavoro abbia compiuto – anche indirettamente – atti vessatori, seppur reiterati e sistematici; mentre è fondamentale che durante il giudizio venga dimostrato e allegato l’elemento soggettivo posto a fondamento del mobbing ossia quello che la Cassazione definisce l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Nel caso di specie, il comportamento vessatorio posto in essere dal datore di lavoro è elemento essenziale della pratica di mobbing che lo distingue da altri comportamenti illegittimi (come ad esempio il demansionamento).