Cassazione: la denuncia resa con malafede, configura giusta causa di licenziamento

L’esercizio del potere di denuncia e – in generale – del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, non costituisce di per sé fonte di responsabilità, ma può diventarlo se il privato fa ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, agendo nella piena consapevolezza dell’insussistenza dell’illecito o dell’estraneità allo stesso dell’incolpato, con l’intenzione di danneggiare il datore di lavoro anziché per rimuovere illegalità o tutelare i diritti del querelante. Questo comportamento configura un illecito disciplinare in violazione del dovere di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del Codice civile e dei più generali principi di correttezza e buona fede stabiliti negli articoli 1175 e 1375 del Codice civile, e dunque capace di ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

Nel caso oggetto di esame, i Giudici della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 30866/2023 (confermando quanto già espresso in sede di appello) affermano che la denuncia penale da parte del lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro e del suo legale rappresentante per appropriazione indebita del Tfr, con la consapevolezza della non veridicità della condotta da lui stesso denunciata, integra giusta causa di licenziamento.

Al lavoratore non viene contestato il reato di calunnia o di diffamazione, ma di aver abusato del processo di denuncia, ovvero di averlo strumentalizzato con il fine «puramente emulativo dello strumento della denuncia penale e dei diritti della persona offesa nel procedimento penale medesimo; fine emulativo, ossia esclusivamente diretto ad arrecare danno al datore di lavoro, desunto dalla consapevole omissione di circostanze significative nella descrizione dei fatti con riferimento alle somme già percepite e alla superflua duplicazione di questioni già oggetto di contenzioso civile tra le parti».

Print Friendly, PDF & Email