La sentenza del Tribunale di Roma n. 1646/2024 ha ritenuto valida una clausola contrattuale che obbligava l’apprendista a risarcire il datore di lavoro in caso di dimissioni.
A titolo generale, il patto di stabilità limita il potere del dipendente di dimettersi prima di una certa data, salvo specifici casi definiti dalle parti, prevedendo anche delle forti penalizzazioni per chi viola tale obbligazione. Tale impegno assunto dal lavoratore non rientra – sulla base dell’orientamento giurisprudenziale – tra le c.d. clausole vessatorie ma deve, tuttavia, essere bilanciato da specifiche condizioni, quale quella della reciprocità: il medesimo vincolo in capo al lavoratore di non dimettersi, deve essere posto nei confronti del datore di lavoro, che si impegna a non interrompere il rapporto per motivi economici, organizzativi o di altra natura. Se tale requisito non è presente, deve allora essere compensato da un adeguato corrispettivo per il lavoratore.
Nel caso in esame, nel rapporto di apprendistato, la sussistenza di un costo per la formazione rappresenta un elemento rilevante per valutare la genuinità del patto di stabilità, anche in virtù del fatto che l’ordinamento collega corposi incentivi economici (sgravi contributivi, sotto inquadramento) e normativi (flessibilità in uscita) e l’erogazione della formazione.
L’orientamento giurisprudenziale relativo ai patti di stabilità considera gli stessi legittimi e validi a condizionare il potere di recedere dal rapporto di lavoro, se questi sono adeguatamente bilanciati da sacrifici, economici o normativi, proporzionati al vincolo assunto dal dipendente.