Rinuncia al periodo di comporto: su chi ricade l’onere della prova?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16392/2017, si esprime in merito al licenziamento del lavoratore una volta superato il periodo di comporto contrattualmente previsto.

I Giudici ricordano il principio – ormai consolidato – secondo il quale, nonostante il datore di lavoro abbia piena facoltà di recedere dal contratto già al termine del periodo di comporto, sarebbe opportuno predisporre un periodo di lavoro durante il quale poter accertare se sia effettivamente praticabile la strada del reintegro del lavoratore nella struttura aziendale.

L’interesse del lavoratore ad avere notizia circa la prosecuzione del rapporto di lavoro deve trovare il giusto equilibrio con i tempi necessari al datore di lavoro per compiere la scelta.

La Corte, cercando di fare chiarezza in relazione all’onere della prova in caso di rinuncia al periodo di comporto – anche in ragione dei divergenti orientamenti giurisprudenziali precedenti – sostiene che il summenzionato onere ricada sul datore di lavoro; questo in base all’applicazione dei criteri generali sul riparto dell’onere probatorio.

Nello specifico, al datore di lavoro spetta fornire le giustificazioni che stanno alla base dell’atto di licenziamento per superamento del periodo di comporto, mentre grava sul lavoratore la dimostrazione della tacita rinuncia alla facoltà come atto estintivo del potere di recesso.

Il lavoratore potrà fornire tale prova tramite l’esposizione di elementi come il possesso da parte del datore di tutti i dati documentali necessari per il computo delle assenze, il tipo e le dimensioni della struttura aziendale, oltre al dato relativo al lasso di tempo intercorso tra il superamento del comporto e il licenziamento stesso.

Infatti, è importante che il datore di lavoro comunichi la propria volontà di recedere dal contratto di lavoro in un tempo ragionevole in relazione alla ripresa dell’attività lavoroativa; questo anche nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Nel caso il cui trascorra troppo tempo tra i due eventi ed il lavoratore lamenti il non rispetto di tali principi, spetterà al datore di lavoro provare che la ritardata comunicazione del licenziamento è dovuta a cause a lui non imputabili.